| 15 luglio 2016, 07:46

Pellegrino si racconta: "La coppa è stata emozionante, ma le quattro vittorie consecutive di più"

Il campione del mondo della sprint, Federico Pellegrino, ha parlato di tutto: "Ero nella rappresentativa valdostana di calcio, ma ho scelto lo sci di fondo; Sochi? Il momento peggiore, c'era qualcosa da cambiare nell'ambiente; Chenetti? Ha tanto da insegnare e io tanta voglia di migliorare"

Pellegrino si racconta: "La coppa è stata emozionante, ma le quattro vittorie consecutive di più"

Il prossimo 1 settembre compirà 26 anni, ma ha già in bacheca diversi successi e nell’ultima stagione è stato il primo fondista non scandinavo a vincere la Coppa del Mondo dello sprint. Parliamo di Federico Pellegrino, l’atleta di punta della nazionale italiana di sci di fondo, l’uomo attorno al quale sta crescendo una bella nazionale. Il campione del mondo si è raccontato in questa lunga intervista che ci ha gentilmente concesso.  

Buongiorno Federico Pellegrino; partiamo dall'inizio: come si è avvicinato allo sci di fondo?
«Mio padre è sempre stato un grande appassionato di questo sport e mio fratello, due anni più grande di me, già lo praticava. Per forza di cose ho iniziato a sciare e mio padre nelle Olimpiadi del ‘94 è stato tra i pochi italiani che hanno assistito dal vivo alla vittoria della staffetta di Lillehammer. Forse quelle emozioni vissute gli diedero anche una spinta in più a trasmetterci la passione per il fondo».  

Ha iniziato presto a ottenere ottimi risultati?
«Nei primi anni pensai soprattutto a divertirmi insieme al mio gruppo di amici, ma non c’era solo la neve, anche il calcio e la musica erano le nostre passioni. Iniziai poi a ottenere degli ottimi risultati nello sci e nel calcio, fino a quando fui chiamato dalle rispettive rappresentative regionali della Valle d’Aosta. Questo mi costrinse a fare una scelta, che ricadde sullo sci di fondo, perché mi dava maggiore gratificazione e aveva un ambiente più piacevole. Ci tengo a ringraziare i miei tecnici di allora: Italo Arlian dello Sci Club Saint-Barthélemy e Marco Brocard del Comitato ASIVA, che oggi è con me in nazionale».  

Poi l’arrivo in nazionale e si è specializzato nello sprint.
«Con il Comitato ASIVA ottenni i primi risultati di rilievo nazionale, quindi passai alla squadra nazionale juniores e conquistai anche la medaglia ai campionati del mondo juniores nello sprint. Già da junior debuttai in Coppa del Mondo senior e conquistai anche i primi punti. L’anno successivo con il tecnico della squadra Under 23, Carlo Zoller, impostammo la stagione con l’obiettivo dei Mondiali di Oslo 2011 e vedemmo che raggiungevo ottimi risultati negli sprint a tecnica libera. I miei weekend quindi erano dedicati in particolar modo alle gare sprint e così divenni uno specialista di queste gare, anche se da junior ho raggiunto ottimi risultati anche nelle distance. Fu una sorta di scelta fatta insieme allo staff tecnico perché avevamo capito che potevo subito raggiungere degli ottimi risultati. Nel mio primo anno da senior sono salito immediatamente sul podio in Coppa del Mondo e sono arrivato anche dodicesimo ai Mondiali. Da lì in poi abbiamo iniziato a impostare le stagioni seguendo il calendario delle gare sprint. Dalla seconda stagione iniziai ad allenarmi con Stefano Saracco, altro valdostano con cui si creò un grande feeling, e un gruppo di giovani atleti tra i quali Greta Laurent, la mia fidanzata».  

Sono così arrivati i primi risultati di rilievo.
«Nei Mondiali Under 23 di Liberec conquistai la medaglia d’oro nella sprint a tecnica classica e questo mi fece capire che potevo ottenere ottimi risultati anche in tecnica classica, tanto che la settimana successiva conquistai in Coppa del Mondo il primo podio in questa specialità. Andò bene anche la team sprint nei Mondiali in Val di Fiemme, quando con Hofer chiudemmo in quinta posizione sfiorando il podio. Da fuori si potrebbe pensare che fossi deluso, ma in realtà fu un’ottima esperienza per me, perché mi sentii vicino a una medaglia importante».  

Nel 2014 la partecipazione alle Olimpiadi di Sochi, nelle quali si sarebbe probabilmente aspettato una medaglia che non arrivò.
«In quella stagione l’Italia non ottenne ottimi risultati in Coppa del Mondo e gli unici podi arrivarono da me. Per questo motivo avevo molta pressione addosso, anche perché nella gara skating avevo le carte in regola per andare sul podio. Purtroppo, però, una serie di fattori tra i quali la mia inesperienza e una giornata negativa, non mi permisero di andare oltre l’undicesimo posto in entrambe le gare. In ogni caso, se penso a Sochi, ricordo una bella esperienza, che mi è servita molto soprattutto dal punto di vista caratteriale perché ho capito come gestirmi in futuro in queste occasioni».  

A Sochi l’Italia ha raccolto pochissimo nello sci di fondo.
«Purtroppo credo che abbiamo raggiunto il punto più basso in termini di risultati, perché non ricordo da quanti anni l’Italia non chiudesse un’Olimpiade senza medaglie nello sci di fondo. Diciamo che il 2014 fu per noi l’anno zero, perché c’era qualcosa nell’ambiente da cambiare e nonostante in quegli anni avessi un ottimo rapporto con i compagni di squadra della mia età, con il mio team e il tecnico Saracco, attorno a noi non c’era un clima in grado di aiutarci a ottenere degli ottimi risultati. Non è certo un caso che da quando si è cambiato, io abbia iniziato a vincere, perché probabilmente ero uno degli elementi che più pativa quel sistema».  

Con il nuovo corso è arrivato anche Chenetti.
«Venivo da tre bellissime stagioni con Saracco, con cui mi trovavo molto bene. Così quando arrivò Chenetti ero inizialmente titubante, perché dovevo iniziare con un nuovo allenatore. Poco tempo dopo però abbiamo creato un ottimo rapporto, abbiamo iniziato a lavorare bene, perché avevo tanta voglia di migliorare a livello tecnico. Lui ha tante conoscenze, ha tanto da insegnare, così ho accettato tutte le sue proposte e ne sto raccogliendo i risultati. Lo stesso credo valga anche per De Fabiani».  

A questo punto sono arrivate anche le prime vittorie in Coppa del Mondo.
«Si è aperto un ciclo nel quale siamo ancora adesso, perché sto riuscendo a fare l’atleta come si deve e ci sono molti fattori che stanno contribuendo al miglioramento della mie performance. Nell’anno successivo alle Olimpiadi di Sochi, ho trovato la mia prima vittoria in Coppa del Mondo e ne sono arrivate ben tre di fila a tecnica libera. La prima vittoria è stata una bella emozione, perché erano anni che salivo sul podio ma senza mai vincere e così iniziavo a chiedermi se sarei riuscito a vincerne una. Fu una vittoria molto costruita, nel senso che in gara sono molto razionale e cerco di tenere tutto sotto controllo. Vincere in questo modo mi dà sempre una soddisfazione immensa. Ottenere tre successi consecutivi è stato gratificante, perché uno dopo l’altro ho sconfitto tutti i miei principali avversari. Il culmine l’ho raggiunto al Mondiale di Falun, perché il quinto posto nella gara sprint a tecnica classifica mi ha dato fiducia e tranquillità per gestire al meglio il team sprint, nel quale abbiamo conquistato il bronzo insieme a Nockler, prima medaglia mondiale per l’Italia nello sci di fondo maschile dopo sei anni».

È così arrivato alla stagione 2015/2016 nella quale ha vinto la Coppa del Mondo sprint. Se l’aspettava alla vigilia?
«Nel 2014 chiusi la stagione al settimo posto dopo essere stato anche il leader della classifica a metà gennaio, nel 2015 arrivai terzo e anche in quella stagione ero primo fino a gennaio. Io penso a migliorarmi sempre, quindi per forza di cose ho iniziato la stagione puntando al primo o al secondo posto. In qualunque caso ho impostato la stagione pensando gara per gara, con l’obiettivo di dare sempre il meglio di me senza pensare alla classifica, per non accontentarmi mai di un risultato. Fin dalle prime gare nel nord Europa ho preso fiducia con le gare sprint, ho ottenuto buoni risultati con le distance e avuto le prime chiamate con la staffetta. Quando la Coppa del Mondo è tornata sulle Alpi ho vinto quattro gare di fila. Alla vigilia non pensavo di superare le tre vittorie consecutive dell’anno precedente, ma quando ho visto il calendario, ho capito subito che essendoci quattro gare sprint a tecnica libera di fila e sulle Alpi dove vado meglio, era una bella occasione per fare tanti punti, ma vincerle tutte e quattro è stato veramente bello. La cosa più bella è stata chiudere quel periodo con la vittoria nel team sprint con Nockler, perché vincere da solo è bello, ma in compagnia mi piace ancora di più. Ancora più bello è stato conquistare il podio nella staffetta, il primo dopo molte stagioni».  

Cos’ha provato nel momento in cui ha ricevuto la coppa di cristallo?
«È stato bellissimo perché sono stato il primo fondista non scandinavo a vincere la Coppa del Mondo sprint. Quando mi hanno consegnato la coppa ho avuto delle belle emozioni, anche se quelle più forti le ho vissute quando ho vinto le quattro gare di fila. All’inizio nemmeno pensavo alla coppa, poi dopo quei successi la stampa, i miei compagni di squadra, gli allenatori e gli amici mi hanno detto che nessuno mi avrebbe portato via la coppa. Così ho iniziato a realizzare questa cosa, capendo che sarebbe dipeso tutto da me».  

La sua stagione si è chiusa in bellezza con la prima vittoria in Coppa del Mondo a tecnica classica a Canmore.
«Si, con la coppa già vinta matematicamente mi sono tolto anche lo sfizio di vincere una gara a tecnica classica in anticipo rispetto a quando mi ero prefissato. Io credevo che avrei ottenuto questo risultato soltanto nel 2019 o magari avere un colpo di fortuna ai Giochi del 2018. Questo successo mi ha fatto capire che effettivamente la coppa del mondo la vince il migliore della stagione, perché ho vinto sia la prima sia l’ultima gara sprint, sono stato competitivo dall’inizio alla fine. Nella Coppa del Mondo il fattore fortuna conta molto meno, a differenza di Olimpiadi e Mondiali, quando tanti fattori possono influenzare un risultato. Da questo punto di vista è la soddisfazione più grande che un fondista possa avere, ma va detto che i Mondiali e le Olimpiadi ti danno qualcosa in più dal punto di vista mediatico e io nella mia bacheca voglio mettere tutto».

Giorgio Capodaglio

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