| 19 luglio 2016, 07:59

Davide Bresadola è pronto alla sfida: "Ho voglia di rimettermi in gioco e tornare a saltare bene"

Dall'inizio della sua carriera come combinatista alla scelta di specializzarsi nel salto, Davide Bresadola si è raccontato a Fondoitalia: "Non riesco a digerire i brutti salti"

Bresadola (foto FIS)

Bresadola (foto FIS)

Il 9 e 10 luglio scorsi Davide Bresadola è stato grandissimo protagonista nella FIS Cup, ottenendo un doppio successo in Polonia a Szczyrk e confermando che la strada intrapresa dal nuovo corso della nazionale italiana, passata sotto la guida del polacco Lukasz Pawel Kruczek, è quella giusta. Di tutto questo e di tanto altro abbiamo parlato in una lunga intervista con l'atleta nato a Cles.  

Buongiorno Davide Bresadola. Lei iniziò la sua carriera come combinatista: come mai fece questa scelta?
«In Italia il salto e la combinata nordica sono discipline poco praticate perché ci sono pochi posti dove farle. Io per fortuna vivo da sempre vicino alla Val di Sole, dove ci sono i trampolini della scuola di Pellizzano, così per me è stato più facile poter cominciare a praticarle. Tutti i bambini, da queste parti, iniziano facendo sia salto sia fondo, poi fanno una scelta, anche se secondo me sarebbe più giusto che i bambini facessero entrambi gli sport senza specializzarsi troppo presto. Fare il fondo, infatti, è utile per la crescita, perché questa disciplina può insegnare al saltatore molte cose, soprattutto a fare movimenti coordinati, crescere in maniera armonica e dargli anche quella resistenza che aiuterà. Nel mio caso raggiunsi risultati positivi in entrambe le discipline e il mio ex allenatore era un combinatista, così mi spinse verso questa specialità».  

Come combinatista ha ottenuto ottimi risultati.
«A livello giovanile vinsi l’OPA Cup nel 2004 e ottenni numerosi podi nell’Alpen Cup. Per non parlare degli ottimi risultati nelle gare nazionali, nelle quali sono arrivato spesso davanti a Pittin, perché saltavo più lungo e lo tenevo a bada nel fondo. Quando è cresciuto però non c’è più stata storia, anche perché aveva iniziato a saltare molto bene. In combinata nordica mi sono tolto belle soddisfazioni, ho anche partecipato alle Olimpiadi di Torino, che sono state una bella esperienza»

Perché a un certo punto ha deciso di cambiare e specializzarsi nel salto?  
«Sono arrivato a un punto in cui ho compreso che non potevo fare di più, perché avevo dei limiti che non mi permettevano di migliorare. L'ho capito dopo tre anni con Chenetti, che reputo essere un super allenatore e rispetto al quale provo molta stima, perché mi ha fatto migliorare nel fondo. Eppure non mi sentivo forte abbastanza nonostante mi fossi allenato bene e avessi un grande coach, così mi sono arreso di fronte all’evidenza. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la brutta stagione che non mi ha permesso di qualificarmi per Vancouver. Probabilmente senza quella brutta stagione avrei continuato a perseverare con scarsi risultati. Questa decisione l’avrei dovuta prendere probabilmente prima. Peccato non essere stato consigliato in maniera più decisa».  

Com’è stato l’impatto con il mondo del salto?
«Sono partito dal basso e sono stato inserito nella squadra B. Per me era una scommessa, mi sono detto di provare anche perché avevo sempre dimostrato di saper saltare. Insomma ero già competitivo ma avevo molto da migliorare. Sono consapevole di aver corso un rischio e la mia non è certo stata una decisione facile. L’ho presa senza avere grandi aspettative, ma col senno di poi è stata una grande scelta. Ora sto facendo quello che mi piace veramente e mi dà maggiori soddisfazioni. Anche quando ero combinatista, la parte del salto era la più gratificante, perché sono nato come saltatore. Spesso in combinata non riuscivo a saltare bene perché ero stanco, dal momento che il fondo richiede dei carichi atletici particolari. Ora che mi concentro solo sul salto è tutto più facile».  

Dopo sei anni può farci un bilancio della sua carriera da saltatore?
«In generale mi sono preso delle belle soddisfazioni, sono andato anche oltre le aspettative, perché quando ho fatto questa scelta non pensavo di competere così in alto, mai avrei immaginato di entrare nei dieci in una gara della Coppa del Mondo. Già nel primo anno avevo avuto delle buone risposte, avevo partecipato ai Mondiali di Oslo e ottenuto punti in coppa. Ho cercato di alzare sempre l’asticella, anche se sei anni fa non avevo grandi aspettative, tanto che pensavo di provare un anno e vedere come andava. Le difficoltà iniziali erano legate al peso, dovevo dimagrire per competere nel salto e persi un sacco di chili, facendo dei sacrifici superiori rispetto all’allenamento, perché fidatevi che è molto più faticoso sedersi a tavola e dover mangiare solo un’insalata. Per competere nel salto poi bisogna essere a posto soprattutto mentalmente, perché si spendono tante energie mentali, trattandosi di uno sport estremo nel quale nulla è lasciato al caso. Nel salto non puoi mai permetterti di sbagliare perché a differenza della combinata, non hai il fondo per recuperare. La cosa più bella di questa disciplina è la presenza impressionante di pubblico, perché ci sono gare con addirittura cinquantamila spettacoli».  

La nazionale italiana di salto ha cambiato affidandosi a Kruczek; come giudica questa prima parte di preparazione con il nuovo allenatore?  
«Abbiamo iniziato un nuovo percorso, perché Kruczek ha portato nuove idee e un nuovo allenamento, che è molto duro. Devo essere sincero: sono soddisfatto di quanto si sta facendo, perché c’era bisogno di dare una scossa all’ambiente. Mi sento molto fortunato di avere la possibilità di allenarmi con lui, perché lo reputo una brava persona che si dà tanto da fare ed è anche motivata e competente. Io uscivo da una stagione negativa nella quale ho sofferto, perché ho avuto problemi fisici oltre che con i materiali, perdendo tanta fiducia e confidenza nel saltare. Sto ripartendo da zero e ho voglia di rimettermi in gioco e di tornare a un buon livello di salto. Sono un appassionato di questo sport e se salto male non mi diverto, non riesco proprio a digerirlo un brutto salto. Ora sto ritrovando la serenità necessaria per fare bene, la fiducia e la confidenza giusta. Il risultato in Polonia era proprio quello che mi serviva, ma c’è ancora tanto da lavorare, perché è solo l’inizio e spero di migliorare ancora nel salto per ottenere risultati positivi anche nelle gare di Coppa del Mondo, nelle quali voglio esprimermi al cento per cento.  Voglio continuare a lavorare e buttare il cuore oltre l’ostacolo».  

Un’ultima domanda: quanto è stato importante per lei il GS Monte Giner?
«Per me è stato fondamentale perché senza questo sci club non sarei certo qui. Per noi è una grande fortuna che ci sia gente come Bezzi, che ha tanta passione e te la trasmette, oltre a insegnarti a saltare. Che tu abbia saltato lì per uno o vent’anni, raggiunto o meno dei risultati di livello, quella passione ti resta dentro ed è una grande forza. Sono fortunato ad abitare in questa zona e avere a che fare con gente che ha creduto nel salto, così come sono fortunato nell'essere entrato far parte dell’Esercito, che mi sta dando la possibilità di essere un professionista e di continuare a fare questa vita, permettendomi di allenarmi e provare a raggiungere buoni risultati. Grazie al GS Monte Giner per avermi fatto iniziare e grazie al Gruppo Sportivo dell’Esercito per avermi dato la possibilità di continuare».

 

Giorgio Capodaglio

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