| 26 luglio 2016, 07:53

Manuela Di Centa si racconta: "Lillehammer fu il giusto premio per aver creduto sempre in me"

La campionessa ha parlato a Fondoitalia, ricordando i momenti più belli della sua carriera, la rivalità con Stefania Belmondo e la sua decisione di dedicarsi alla politica.

Manuela Di Centa si racconta: "Lillehammer fu il giusto premio per aver creduto sempre in me"

Due ori, due argenti e tre bronzi alle Olimpiadi, 4 argenti e tre bronzi ai Mondiali, due vittorie nella classifica generale della Coppa del Mondo, nella quale ha conquistato anche 14 vittorie e 30 podi. Numeri da capogiro quelli di Manuela Di Centa, degni di un’atleta che ha fatto la storia di questo sport, con una tecnica di sciata bella da vedere e un sorriso che durante le Olimpiadi del 1994 fece innamorare tanti italiani. L’abbiamo intervistata per rivivere con lei la sua carriera e conoscere il suo punto di vista, mai banale, su diverse tematiche.  

Buongiorno Manuela Di Centa e grazie per l’intervista che ci ha gentilmente concesso: quando ha capito che avrebbe fatto un’ottima carriera nello sci di fondo?
«In realtà non ho mai pensato alla carriera, ma soltanto a fare bene le cose che mi piacciono e mi appassionano. Sin da bambina, quando avevo 5 anni, a me piaceva sciare e il mio obiettivo era quello di farlo bene».  

Nei primi anni di Coppa del Mondo ha faticato a cogliere risultati di rilievo, ma col tempo ha iniziato a essere costantemente tra i primi: cos’è cambiato?
«In realtà ho vinto la mia prima medaglia già 17 anni a livello giovanile e questo è un grande successo. Ho anche colto diverse vittorie a livello nazionale, mentre il primo podio in Coppa del Mondo è arrivato nel 1989 quando avevo 25 anni, non certo a fine carriera. Vero, non ho conquistato subito delle medaglie olimpiche, ma secondo me ho ottenuto dei grandi risultati. Purtroppo ai tempi in cui mi sono affacciata alla Coppa del Mondo non c’era nemmeno la nazionale femminile, eravamo costrette ad allenarci a casa. La nazionale di sci di fondo è nata con me e la Canins, nei primi raduni nell’82 non esisteva neanche la preparazione giusta, né squadra, né allenatori. Non c’era l’organizzazione di oggi, che dà la possibilità alle più giovani di entrare prima nei circuito».  

Poi le medaglie olimpiche sono arrivate e a Lillehammer conquistò 2 ori, 2 argenti e un bronzo: cosa prova se pensa a quei giorni?
«Indubbiamente ho tanti ricordi legati a quei Giochi Olimpici, perché quando finalmente vinci l’oro alle Olimpiadi provi un’emozione diversa rispetto a quando conquisti le altre medaglie. In quel momento ho detto a me stessa che era il giusto premio per aver creduto nello sport che amo. Sia nell'attimo in cui ho superato il traguardo e ho capito di aver vinto sia successivamente sul podio quando mi hanno messo la medaglia al collo, ero felice perché ce l’avevo fatta avendo sempre creduto in me stessa, lavorato e faticato tra tante difficoltà, perseverando e credendo in quello che era il mio sogno. Quando sali sul podio sapendo che hai vinto, capisci che ce l’hai fatta, hai creduto in te e hai fatto un percorso faticosissimo per conquistare la medaglia».  

Lei ha anche vinto due volte la classifica della Coppa del Mondo generale. Che tipo di emozione è stata, se confrontata alle Olimpiadi di Lillehammer?
«La Coppa del Mondo è qualcosa di speciale, perché premia l’atleta più completa e la sua organizzazione. Per me è stata una soddisfazione molto grande, anche perché ho faticato molto per vincerla, dal momento che una stagione è lunghissima e ci sono tantissime gare. Il vincitore della Coppa del Mondo è l’atleta più bravo in tutte le discipline, capace di far bene sia nelle lunghe sia nelle corte distanze, sia nella tecnica classica sia nella libera. Un premio alla continuità avuta nel corso di tutta la stagione e anche all’ottimo lavoro di gruppo, della squadra come team sia le compagne sia gli skiman, perché preparare bene gli sci per tutta la stagione fa la differenza».  

A proposito di squadra, ci parli della sua rivalità con Stefania Belmondo: secondo lei è stata positiva per voi e per lo sci di fondo italiano?
«Non vi è alcun dubbio sul fatto che è stata una rivalità forte e bella, sempre corretta, dettata dalla consapevolezza che entrambe eravamo dei grandi talenti. Allenarsi sempre con una campionessa accanto, è stato qualcosa di stimolante che ha spinto entrambe e non prendersi mai una sosta, perché avevamo la nostra diretta avversaria molto vicina. Entrambe siamo state delle atlete molto intelligenti, così abbiamo sfruttato questa nostra rivalità per crescere e tirare fuori il meglio da noi. Anche in quel periodo sapevamo che in fin dei conti la nostra rivalità era qualcosa di bello, se non vinceva l’una lo faceva l’altra, così abbiamo sempre tenuto in alto la bandiera italiana, una cosa che per noi era molto importante».  

Nelle due occasioni in cui ha vinto la classifica generale della Coppa del Mondo ha faticato nella prima parte della stagione, per poi recuperare nella seconda: questo perché faceva una preparazione con grandi carichi nel corso dell’estate?
«Non credo questo, perché nel mio caso programmavamo la preparazione con l'obiettivo di mantenere la forma nel corso di tutto l’anno. Ciò significava non arrivare subito al cento per cento, ma trovare la forma migliore a un punto specifico della stagione, mantenendola fino alla fine quando invece quelle partite forte calavano. Oltre a questo aggiungiamoci, che proprio fisicamente avevo problemi a entrare subito in forma».  

Dopo le Olimpiadi di Nagano del 1998 ha dato l’addio allo sci di fondo: come mai ha scelto la carriera dirigenziale e politica, anziché quella di tecnico nello sci di fondo?
«Come da bambina continuavo a sciare e nonostante mi dicessero il contrario ho sempre creduto che lo sci di fondo fosse un bello sport e soprattutto molto adatto a una donna, lo stesso ho fatto con la politica. Per me era giusto aiutare lo sport a svilupparsi, attraverso delle decisioni di carattere organizzativo e politico, soprattutto dal punto di vista femminile. Purtroppo c’erano e ci sono ancora tante diversità tra lo sport maschile e quello femminile, io ho sempre creduto che bisognava lavorare tanto per raggiungere il giusto equilibrio tra uomini e donne anche in questo campo. Questo è alla base del mio impegno dirigenziale e politico, anziché tecnico. Già prima delle Olimpiadi di Nagano mi sono candidata al CIO e sono stata eletta nella Commissione Atleti, quindi successivamente sono diventata membro del CIO».  

Qual è stata la sua soddisfazione più grande a livello politico?
«Probabilmente la nascita del liceo a indirizzo sportivo, che ho ideato e proposto in parlamento. Per me, dopo tre anni e mezzo di tanto lavoro, raggiungere questo obiettivo fu quasi come vincere una medaglia. Certo, fuori dallo sport, non puoi sempre avere il palco del podio olimpico per festeggiare, a volte la tua soddisfazione devi condividerla con poche persone».  

Lei viene da una famiglia di sportivi.
«Abbiamo lo sport nei geni, già con papà che si è dedicato all’insegnamento ed è ancora maestro di sci, tanto che tra i suoi allievi recentemente c’è stato anche Pittin, nato con l’US Aldo Moro prima di diventare grande e passare ai Gruppi sportivi. Nella mia famiglia non soltanto io e mio fratello abbiamo raccolto dei grandi risultati nello sport, perché mio cugino Venanzio Ortis vinse l’oro agli Europei di atletica leggera nei 5000 e 10000 metri. Al di là della mia famiglia, vengo da un contesto dove la cultura sportiva è molto presente, tanto che nel nostro paese sono nati tanti campioni dello sci nordico».  

Secondo lei qual è lo stato di salute dello sci di fondo italiano femminile?
«Guardo ai risultati, perché contano quelli e sono molto negativi. Sicuramente non possiamo paragonare questa nazionale a quelle del passato, perché siamo molto lontani da quel livello. C’è stata una grande involuzione, i risultati sono inferiori non soltanto rispetto ai tempi di Belmondo e Di Centa, ma anche a quelli più recenti di Paruzzi e Follis».  

La squadra femminile è molto giovane: crede che manchi una campionessa in grado di permettere a queste ragazze di crescere con tranquillità?
«No. Io mi sono fatta da sola e quindi anche se manca una campionessa, questa non deve essere una giustificazione per queste ragazze. Inoltre, pur non essendo presente in squadra, immagino che le ragazze abbiano tutto ciò che serve dalla federazione per fare bene, anche perché credo che qualora mancasse qualcosa l’avrebbero detto».

 

Giorgio Capodaglio

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