| 17 agosto 2016, 07:34

Virginia De Martin Topranin, la farfalla bianca è pronta a spiccare il volo

La fondista azzurra, la più attesa in vista della prossima stagione, ha parlato a Fondoitalia: "Voglio entrare più spesso nelle dieci e ottenere anche qualcosa in più; per me e le mie compagne è arrivato il momento di far vedere quanto valiamo"

Virginia De Martin in una foto dal sito www.virginiademartin.it

Virginia De Martin in una foto dal sito www.virginiademartin.it

Tra tre giorni compirà 29 anni, l’età giusta per raggiungere la maturità sportiva. Virginia De Martin Topranin è consapevole che la prossima stagione potrebbe essere quella della definitiva consacrazione per lei, che nel corso della passata stagione si è candidata al ruolo di leader della nazionale femminile di fondo. Una squadra, quella azzurra, che punta al riscatto dopo alcuni anni complicati, al seguito del cambio generazionale arrivato dopo il ritiro di campionesse come Longa e Follis. Virginia De Martin, però, non è soltanto l’atleta pronta a spiccare il volo, ma anche una ragazza molto intelligente, profonda e curiosa, innamorata dello sport e della natura, all’apparenza fragile ma tanto coraggiosa, proprio come una farfalla bianca, alla quale ama paragonarsi. L’abbiamo intervistata per conoscerla meglio e farci raccontare le sue impressioni in vista della prossima stagione.               

Ciao Virginia e grazie per la disponibilità; com’è nata la tua passione per il fondo?
«Per me è stata una cosa piuttosto naturale, perché sono nata in un piccolo paese di montagna (San Candido ndr) e la mia famiglia voleva che facessi sport. Dalle nostre parti nel corso dell'inverno si possono praticare soltanto sci di fondo o discesa. Io avevo scelto quest’ultima, ma un giorno sono scivolata giù dallo skilift e da quel momento non ho più voluto andarci e sono passata al fondo, che mi ha conquistato immediatamente, perché è uno sport bellissimo, grazie al quale sono sempre a contatto con la natura. Inoltre si è creato subito un bellissimo gruppo con le altre ragazze dello sci club US Valpadola con cui ho iniziato. Da lì a poco sono anche arrivati i primi risultati e non sono più tornata indietro».  

Quando hai capito che la tua passione sarebbe diventata anche la tua professione?
«Ho fatto la mia scelta già alle scuole superiori, perché ho frequentato una specie di ski college statale a Tarvisio, il liceo per gli sport invernali, una scuola con l’orario adattato che permette al giovane di sciare, allenarsi e frequentare la scuola. Ho fatto questa scelta perché non volevo sacrificare lo studio, avevo voglia di fare lo scientifico e sciare. Ho quindi scelto di lasciare la mia casa, una cosa certamente non semplice per una ragazza a quell'età. Questo è stato il primo passo, anche se allora non ero certa che sarebbe poi diventata la mia professione. Successivamente, una volta superati gli esami di maturità, mi sono data un ultimatum, dicendo a me stessa che avrei provato un altro anno con il fondo agonistico e se le cose non fossero andate per il meglio, mi sarei messa a studiare. Quella stagione è andata benissimo, ho vinto diversi titoli italiani, ottenuto successi anche in Coppa Europa e mi sono comportata bene ai Mondiali Juniores. Così ho scelto di proseguire con il fondo».  

Hai scelto la carriera agonistica, ma non hai smesso di studiare.
«Si frequento l’università, ho scelto la facoltà di scienze motorie. Un po’ mi vergogno perché non sono ancora riuscita a laurearmi, ma studio a Verona, dove purtroppo posso frequentare soltanto in primavera dovendo fare comunque un’ora e mezza di viaggio per raggiungere la facoltà, mentre nel resto dell’anno sono in giro per ritiri e gare. Negli USA o in Norvegia sono più fortunate, tanto che sono quasi tutte laureate. Addirittura la Jacobsen è laureata in medicina, ma va detto che lei è una veramente tosta. Negli USA per esempio sono facilitati sia dal punto di vista logistico sia economico, perché hanno borse di studio e possono allenarsi all’interno delle strutture universitarie nelle quali hanno a disposizione i loro allenatori. In Norvegia hanno Oslo che ha le migliori università del paese e le piste soltanto a mezz’ora di distanza».  

Il 26 novembre 2010 hai fatto il tuo esordio in Coppa del Mondo: com’è stato l’impatto con questa nuova realtà?
«Devo ammettere che non ho avuto la tremarella, perché già dall’estate mi allenavo con campionesse del livello di Follis, Longa e Genuin e questo mi aveva fatto capire di avere molte qualità. Ho esordito con la staffetta B dell’Italia e ciò mi ha aiutato a scendere in pista senza avere gli occhi puntati addosso. Sono partita come lancio e sono andata bene perché ho dato il cambio alle mie compagne addirittura davanti alla nostra staffetta A».  

Così, soltanto due settimane dopo, a La Clusaz sei stata inserita nella staffetta A con cui hai conquistato subito il tuo primo podio.
«Davvero emozionante, perché ero in ottima forma e ho sciato molto bene gestendo al meglio la gara e la pressione di essere il lancio di quella bella squadra. Ho dato il cambio in un’ottima quinta posizione e da quel momento è stato tutto un po’ surreale, perché sono stata in trepidazione per 45 minuti in attesa delle altre tre compagne, ma al tempo stesso sono stata anche tranquilla perché consapevole di essere in squadra con delle campionesse che mi avrebbero regalato il primo podio. Così è stato, perché siamo arrivate seconde. La cosa più bella è stata essere consapevole di aver dato il mio contributo e non essere stata una pedina messa lì soltanto per tappare un buco»

Al termine di quella stagione si sono ritirate contemporaneamente Follis, Longa e Genuin, le big di quella squadra; pensi che questo abbia in qualche modo complicato la tua crescita?
«Si, mi sarebbero state molto d’aiuto, perché nell’anno precedente ho fatto un salto di qualità pazzesco allenandomi con loro. I risultati che raggiungi d’inverno, infatti, li costruisci nel corso dell’estate e allenarmi con queste campionesse è stato molto utile per me. Con loro inoltre potevo gareggiare senza pressioni per tutta la stagione, permettermi anche degli errori, perché gli occhi erano puntati su di loro dal momento che erano coloro che dovevano portare i risultati. Devo ammettere che questa cosa non l’ho compresa subito, perché all’inizio della stagione successiva al loro ritiro ero molto gasata dal fatto che toccasse a noi giovani, pensavo fosse arrivato il nostro momento. Quell’inverno abbiamo avuto una doccia ghiacciata in questo senso ed è stata molto dura, nonostante avessimo ottenuto anche qualche piazzamento discreto. Successivamente però le cose sono andate molto male e sono consapevole che queste campionesse ci avrebbero aiutato, ci sono mancate come guide. Ora però è passato molto tempo e non voglio stare ancora qui a rimuginare su queste cose, perché come si sono fatte le ossa loro, ce le siamo fatte anche noi e penso che sia arrivato il momento di far vedere quanto valiamo, dimostrando che non siamo da meno rispetto alle campionesse che ci hanno precedute».  

Quale giudizio dai alla tua ultima stagione?
«Sicuramente positiva, perché ho fatto un bel passo avanti rispetto a quelle precedenti, ma non sono comunque del tutto soddisfatta. Ho sbagliato un po’ il timing, non mi sono lasciata i giusti tempi di recupero nel corso della stagione, in particolar modo a seguito del tour de ski. Questo è andato a inficiare sulla seconda parte della stagione, tanto che da febbraio in poi ho rincorso sempre la condizione migliore, senza trovarla. Sono convinta che avrei avuto nelle gambe dei risultati migliori, se fossi stata in una forma accettabile. A inizio stagione mi ero prefissata degli obiettivi piuttosto alti e non sono riuscita a raggiungerli tutti».  

Sia i tecnici sia alcune tue compagne ti indicano come possibile guida della squadra nella prossima stagione. Questo ti fa sentire maggiori responsabilità?
«Si, ma è una bellissima responsabilità, le do un’accezione positiva. Devo ammettere inoltre che non mi rendo tanto conto di questa cosa, perché anche se le mie compagne mi vedono come una guida, in realtà in allenamento ci stimoliamo a vicenda, perché ognuna di noi ha delle caratteristiche diverse. In ogni allenamento c’è una nuova compagna che fa da guida anche a me e ciò rende meno pesante questa responsabilità. Sono convinta che l’atteggiamento che abbiamo all’interno del team possa darci una mano».  

Quale obiettivo ti sei posta per la prossima stagione?
«Anche se sono in programma i Mondiali di Lahti, non voglio focalizzare troppo la mia attenzione su questo appuntamento, perché il suo risultato sarà la logica conseguenza del resto della stagione. Voglio stare sempre a ridosso delle dieci ed entrarci nel maggior numero di gare possibili, soprattutto nelle distance. Sono convinta che se dovessi trovarmi sempre dentro le dieci, nelle giornate ottime potrei anche puntare ad arrivare più avanti»  

Cosa ti aspetti dalle tue compagne?
«Molto, perché in allenamento hanno l’atteggiamento giusto. Gaia (Vuerich ndr), Greta (Laurent ndr) e Lucia (Scardoni ndr) possono ottenere degli ottimi risultati nelle sprint, mentre Ilaria (Debertolis ndr) va bene un po’ dappertutto».  

Com'è nata l'idea di partecipare a un camp in Alaska con la squadra statunitense? È stata una bella esperienza?
«Già da alcuni anni ho stretto amicizia con alcune ragazze della squadra statunitense, in particolare con Liz Stephen. Nella passata stagione, al termine dello Skitour in Canada, ho deciso di fermarmi lì per fare un po’ di vacanza tra Vancouver e Toronto, oltre che partecipare al Campionato Nazionale statunitense in Vermont. Lei mi ha ospitato per una settimana a casa sua e mi ha proposto di allenarci insieme nel corso dell’estate. A fine aprile mi è arrivato il suo invito per partecipare a questo raduno in Alaska e ho deciso di andare. Questa esperienza mi ha dato moltissimo sia dal punto di vista mentale sia per quanto ho sbirciato del loro modo di allenarsi. Gli atleti statunitensi sono pazzeschi, hanno un atteggiamento incredibile perché hanno molta determinazione, sono sempre allegri, positivi e nel lavoro di squadra sono inarrivabili».  

Sul tuo sito personale (www.virginiademartin.it) ti sei paragonata a una farfalla bianca: puoi spiegarci com’è nata questa affinità?
«La considero il mio alter ego nella natura. La farfalla bianca mi ha accompagnata in tanti momenti speciali della mia vitta, fin da bambina quando passavo l’estate in malga con i miei genitori e la notte c’erano attorno a noi tante farfalle bianche. In quel momento è entrata nella mia vita per la prima volta, poi con il passare degli anni mi sono resa conto di quanto mi somigliasse: è fragile, ma ha comunque il coraggio di spiccare il volo nonostante le sue ali sottili. In questo mi rappresenta molto».

 

Giorgio Capodaglio

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