| 27 agosto 2016, 07:33

L'ex tecnico Benito Moriconi: "La rivalità tra Di Centa e Belmondo è stata positiva per entrambe"

Fondoitalia ha intervistato Moriconi: "Senza quella rivalità Di Centa e Belmondo avrebbero vinto la metà; Manuela Di Centa? Ha sempre dato importanza a ogni particolare e dopo Lillehammer invece di festeggiare è tornata ad allenarsi"

Manuela Di Centa festeggia con il suo tecnico Benito Moriconi

Manuela Di Centa festeggia con il suo tecnico Benito Moriconi

Ci sono uomini che fanno la storia dello sport, avendo un ruolo decisivo dietro le quinte, tecnici capaci di tirare fuori il meglio da un atleta o una squadra. Una di queste persone è Benito Moriconi, partito da Sarnano in Provincia di Macerata, che dopo ver cresciuto da giovani i vari Silvio Fauner e Giorgio Di Centa, ha prima preso in mano la squadra femminile di fondo facendo esprimere al meglio Stefania Belmondo e Manuela Di Centa, per poi diventare il tecnico personale di quest’ultima proprio nei suoi anni migliori. L’abbiamo intervistato per Fondoitalia, capendo ancor meglio perché con lui sono arrivate le grandi vittorie azzurre.  

Buongiorno Benito Moriconi, come ha fatto un marchigiano ad arrivare come tecnico ai vertici della Coppa del Mondo di fondo?
«Sono partito da Sarnano in Provincia di Macerata e quando ero giovane da quelle parti nevicava molto di più. C’era una persona che voleva farci provare il fondo e mise su anche una bella squadra. Poi sono entrato nella Finanza, ma non come atleta, anche se ero molto competitivo nella corsa in montagna, avendo vinto tante gare nazionali. Ho fatto per anni il finanziere nel Brennero, poi mi sono fermato a Bormio. Ho incontrato degli allenatori che hanno migliorato la mia tecnica e così sono diventato molto più bravo».  

Ha fatto esperienza ed è diventato allenatore.
«Per quattordici anni ho allenato gli atleti del Comitato Alpi Centrali, con risultati straordinari. All’epoca la federazione dava i contributi in base ai risultati che si ottenevano. Quando iniziai ad allenare i suoi atleti, questo comitato aveva l’11% dei finanziamenti, cinque o sei anni dopo siamo saliti al 36%. Insomma direi che qualche buon risultato l’abbiamo ottenuto. Poi sono stato costretto a lasciare perché il comando generale non autorizzava più ad allenare, così mi hanno chiamato in nazionale e ho allenato la squadra juniores maschile, ottenendo risultati favolosi: al traguardo vincevamo o noi o gli svedesi».  

Aveva una bella squadra?
«Con me c’erano Silvio Fauner e Giorgio Di Centa che ottenevano dei grandi risultati, ma il più forte era secondo me Pierino Confortola che purtroppo si ritirò prestissimo nonostante dei grandi risultati, tanto che arrivò secondo alla sua prima gara da senior a Castelrotto».  

Insomma ha avuto grandi meriti nella crescita di questi ragazzi, che poi hanno regalato medaglie all’Italia.
«Meriti? Diciamo che ho avuto anche molta fortuna, perché mi sono ritrovato attorno degli ottimi allenatori nei diversi comitati. Nel nostro sport va così, non c’è molta continuità, i risultati si ottengono soltanto quando si hanno delle grandi persone che lavorano duramente».  

Come mai ha deciso di lasciare?
«La mia scelta è arrivata perché non ero soddisfatto dei risultati che i miei atleti ottenevano una volta diventati senior, quando a mio parere dovevano essere seguiti meglio».  

Quindi il passaggio alla squadra femminile.
«In realtà ho rischiato di diventare l’allenatore della Spagna, perché le federazioni spagnole avevano molti soldi grazie ai Giochi Olimpici di Barcellona e potevano investire. Mi fecero un’offerta quasi irrinunciabile per allenare lì, ma il Generale Valentino, allora Presidente della FISI, non appena venuto a conoscenza di questa possibilità, mi ha telefonato invitandomi ad allenare le donne. Non ho rinunciato, anche perché avevo portato con me uno staff molto valido».  

Che squadra trovò?
«Era una formazione molto forte, perché Stefania Belmondo e Manuela Di Centa avevano vinto delle gare di Coppa del Mondo, erano già fortissime. Uno non doveva fare delle grandi cose per farle vincere, bastava non commettere errori e loro vincevano. Nel ’92 ero il tecnico e la Belmondo migliorò moltissimo nel classico vincendo anche la sua prima medaglia mondiale, quando tanti pensavano andasse bene solo nel pattinaggio».  

Le altre atlete come vivevano questa superiorità di Di Centa e Belmondo?
«Su questo ho dovuto un po’ lavorarci perché tra loro c’era un forte distacco. Ho puntato su alcune ragazze come Paruzzi e Vanzetta, alle quali ho fatto capire che tutte insieme avrebbero potuto vincere delle medaglie importanti. Gabriella poi è cresciuta al punto da vincere lei stessa un’oro olimpico e una Coppa del Mondo individuale. Si è creato un bel gruppo, tutte si sono migliorate al massimo e la Belmondo divenne molto amica in particolare con le due che ho appena citato. Per la prima medaglia in staffetta do quasi più meriti alla Paruzzi, perché Belmondo e Di Centa hanno sciato bene come sempre, ma lei quel giorno fece una gara eccezionale per il suo valore di allora».  

Cosa pensa della rivalità tra Di Centa e Belmondo?
«È stata sicuramente positiva, perché secondo me se non avessero gareggiato nello stesso periodo, se non fossero state tanto rivali, avrebbero vinto la metà. Queste due atlete si stimolavano a vicenda, perché soffrivano proprio quando l’altra vinceva e capivano che per batterla bisognava allenarsi. Lavoravano tantissimo, bisognava quasi non esagerare nel carico di allenamento, perché sapevamo che entrambe avrebbero fatto di più rispetto a quanto programmato».  

Come mai ha lasciato la guida della nazionale per allenare soltanto la Di Centa?
«Mi sono dimesso perché mi sentivo vecchio e a quel punto stare sempre via da casa era dura. Un giorno però hanno organizzato una festa a Roma nella quale premiarono il pugile Nino Benvenuti, Manuela Di Centa e me. Quel giorno mi hanno convinto ad allenarla. Io ho accettato mettendo però un paletto fondamentale: doveva essere lei a raggiungere me a Bormio, perché non avevo voglia di stare lontano da casa mia. Addirittura lei si prese un appartamento in zona e abbiamo così iniziato a lavorare».

A quel punto il suo rapporto con la Belmondo è cambiato?
«Personalmente sono uno sportivo che si innamora dei suoi atleti, non potrò mai parlare male di Stefania Belmondo, perché era una fuoriclasse eccezionale, gli volevo bene anche se allenando io la Di Centa eravamo diventati in qualche modo rivali. Comunque, ripeto, la loro rivalità è stata utile a entrambe ed è servita anche ai giornalisti, che l’hanno fatta sembrare più grande di quando fosse. Tra me e Stefania non ci sono mai stati problemi».  

Nel 1994 abbiamo assistito al grande trionfo di Manuela Di Centa alle Olimpiadi di Lillehammer.
«Manuela è arrivata a quelle Olimpiadi in uno stato di forma eccezionale, perché siamo stati bravissimi a ottimizzare il lavoro in quota, restando a Livigno fino all’ultimo prima di raggiungere la Norvegia. In Italia abbiamo grandi opportunità per sfruttare al meglio la quota, purtroppo però non la sfruttiamo. Manuela ha lavorato benissimo in quei giorni e a Lillehammer ha mantenuto il massimo della forma per tutto il tempo dei Giochi».  

Nella stessa stagione è arrivato anche il successo nella classifica generale della Coppa del Mondo; una rimonta clamorosa.
«Dopo la quinta medaglia a Lillehammer la federazione ha invitato Manuela per una festa a Casa Italia, ma lei non è andata, come non ha concesso alcuna intervista al termine dei Giochi e non si è lasciata andare alle mille feste cui era stata invitata. Ha anche rinunciato a dieci milioni di lire per una kermesse a cui era stata invitata, alla quale invece hanno partecipato tutte le sue principali avversarie. Manuela Di Centa è tornata subito in Italia ad allenarsi e ha vinto dominando le finali della Coppa del Mondo. Ancora una volta il suo grande lavoro ha pagato».  

Insomma un’atleta che si è sempre allenata duramente.
«Si, le faccio un altro esempio. Dopo una vittoria a Lahti con due secondi di vantaggio ai danni di Stefania Belmondo, Manuela tornò immediatamente in Italia per allenarsi, perché c’erano tre giorni tra queste due gare e a Lahti non c'era possibilità di allenarsi. Le altre rimasero lì e poi andarono a Falun. Così quando si presentò a Falun, Manuela vinse con 35 secondi di margine. Era fortissima, perché oltre al talento sapeva dare la giusta importanza a ogni particolare».  

Quale delle vittorie di Manuela Di Centa le ha fatto particolare piacere?
«Senza dubbio i suoi ori olimpici di Lillehammer».  

Eppure molti atleti la pensano diversamente, ritenendo un successo della classifica generale della coppa del mondo più importante, perché è un premio che va allo sciatore più forte in quella stagione.
«Non sono d’accordo. La prima italiana a vincere la Coppa del Mondo poteva essere Stefania Belmondo e l’avrebbe anche meritata perché era la più forte. Nella stagione 1991-92 eravamo in Canada, Stefania vinse nettamente una gara e probabilmente avrebbe vinto anche quella successiva, ma non partecipò perché aveva l’arruolamento. Non avesse saltato quella gara avrebbe vinto la Coppa del Mondo, ma arrivò seconda a fine stagione. Inoltre in quella stagione ci fu anche una gara nella quale sbagliammo completamente la sciolina, un errore da parte nostra che ci può stare, ma gli è costato caro. Mi da ancora fastidio pensare che non abbia vinto quella coppa, perché la meritava. Ciò dimostra però che la classifica generale non la vince sempre la più forte».  

Come mai nel 1997 ha deciso di ritirarsi?
«Ero vecchio e andare in giro mi pesava. Sia Manuela Di Centa sia la federazione avrebbero voluto che continuassi, ma quando è il momento giusto bisogna smettere». 

Cosa pensa dell’attuale nazionale italiana di sci di fondo?
«Siamo fortunati perché abbiamo due grandi atleti. Pellegrino è fortissimo nelle gare sprint e sono convinto che potrebbe fare di più anche nelle distance. Abbiamo poi De Fabiani che è proprio forte, deve migliorare in alcuni particolari ma è un talento straordinario. Se la Coppa del Mondo fosse seria come una volta, quando c’erano meno gare, sarei certo al cento per cento che vincerebbe prima o poi la classifica generale».

 

Giorgio Capodaglio

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