| 04 aprile 2017, 07:24

Lorenzo Romano, il giovane pianista che vola sulle piste di fondo

Il giovane cuneese ha disputato un'ottima stagione e si appresta a diventare senior: "L'esclusione dai Mondiali è stata una botta, ma la voglia di riscatto mi ha spinto a ottenere ottimi risultati; la musica? Mi libera dai pensieri"

Lorenzo Romano suona davanti a compagne e compagni di squadra

Lorenzo Romano suona davanti a compagne e compagni di squadra

È nato a Demonte, in provincia di Cuneo. Una terra di campioni, se si pensa che in questo piccolo comune vive Stefania Belmondo. Normale, quindi, che lo sci di fondo sia nel DNA di Lorenzo Romano, vent’anni non ancora compiuti, sciatore tesserato per lo Ski Avis Borgo Libertas e aggregato all’Esercito, giunto nono nella classifica generale della Coppa Europa Junior. Lo sci di fondo, però, non è la sua unica passione. Lorenzo, infatti, segue e pratica tanti sport, ma soprattutto è un grande appassionato di musica, al punto da sedersi al pianoforte, non appena ne ha l’occasione, e suonare brani storici della musica classica, come “Studio da Concerto – Un Sospiro” di Listz, la “Ciaccona” di Bach, i “Notturni” di Chopin o la “Marcia turca” di Mozart. Per lui Holmenkollen è come il Musikverein di Vienna, Ulricehamn come la Concertgebouw di Amsterdam o la Royal Albert Hall di Londra. Lorenzo Romano riesce a portare avanti le sue due grandi passioni, prendendo il meglio da entrambe, traendone maggior forza. Conosciamolo attraverso questa lunga intervista che vi proponiamo.

Ciao Lorenzo, si è appena conclusa una stagione per te positiva.

«Si, sono riuscito a migliorare molto, raggiungendo quasi ogni obiettivo che mi ero posto alla vigilia. Volevo vincere un titolo italiano e ce l’ho fatta nella 10 in skating, inoltre sono riuscito a ottenere un secondo posto sia nella sprint sia nella 30km in tecnica classica. L’unica pecca è la mancata partecipazione al Mondiale Giovanile negli USA, ma l’avvio di stagione sottotono mi è costato la convocazione. Mi sono rifatto con gli interessi, però, nella seconda parte della stagione, a cominciare dal secondo posto nella 10km skating di Zwiesel, a pochi secondi da Brugger, che aveva appena vinto l’oro mondiale. Sono soddisfatto per come si è conclusa la stagione, ho ottenuto risultati di primo ordine».

Di te ha impressionato proprio la capacità di crescere nel corso della stagione.
«Alla vigilia il mio obiettivo era entrare nei dieci o nei cinque in skating, mentre sapevo che avrei faticato di più in classico e sprint. Il livello si è dimostrato alto, all’inizio ci siamo trovati ad arrivare in trenta entro un minuto e ho fatto fatica a entrare nei quindici. Per me era il primo anno in nazionale, ho fatto dei carichi più pesanti rispetto alle mie abitudini e li ho pagati nelle prime uscite. Da gennaio ho iniziato a ingranare, ho fatto bene a Cogne in Coppa Italia, ma purtroppo sono andato male a Planica, non acciuffando la qualificazione al Mondiale. Mi sono rifatto presto, vincendo il titolo in skating a Schilpario, mentre in Coppa Europa, con un bel finale, sono riuscito ad arrivare al nono posto della classifica generale. Un’iniezione di fiducia per il futuro».

Hai affermato di avere problemi in classico, eppure nelle gare a inseguimento ti sei comportato bene.
«Si, perché il mio problema in classico riguarda le gare individuali a cronometro, mentre in quelle sull’uomo riesco a ottenere degli ottimi risultati. Devo lavorare su questo, perché è una delle cose da migliorare».

È stato difficile per te digerire l’esclusione dal Mondiale?

«Nell’immediato è stato un colpo abbastanza duro, perché il Mondiale rappresentava uno degli obiettivi che mi ero prefissato, anche perché non capita tutti i giorni di gareggiare negli Stati Uniti. Sono riuscito a risollevarmi presto grazie alla mia famiglia e agli allenatori stessi, bravi nello spiegarmi le motivazioni della loro scelta, legata ai risultati che non arrivavano, ma soprattutto a incoraggiarmi, dicendomi che vedevano le mie qualità. La mia delusione mi ha portato ad avere voglia di rivincita, ho reagito e quando ho ottenuto la vittoria agli Italiani, erano tutti felici per me. Ho mostrato che avevo le qualità per essere ai Mondiali».

Il prossimo anno sarai senior: quali sono le tue aspettative?
«È un passaggio molto importante nella carriera e nella vita di un atleta. Fino a oggi ho sempre migliorato i miei risultati, seguendo un lento percorso di crescita, perché è inutile fare subito degli ottimi risultati da “aspirante” e poi regredire. Da “senior” devo quindi fare un altro salto di qualità, devo essere alla pari con gli altri. Bisogna fare quel miglioramento richiesto dalla categoria. Sinceramente non ho paura di questo salto, posso reggerlo, se uno va ad analizzare la mia carriera sportiva, sono sempre andato in crescendo. Nell’ultima stagione ho avuto la mia consacrazione nazionale con diversi successi e podi. Sono convinto che il prossimo anno da senior io e Simone (Daprà ndr), che siamo anche amici, riusciremo a lottare con i migliori».  

Dopo questi risultati ti aspetti una chiamata da un corpo sportivo militare?
«Lo spero, perché ho fatto molto bene e mi auguro quindi di avere delle buone possibilità di riceverla. Nell’ultima stagione sono stato aggregato all’Esercito, una cosa importante per crescere. Se voglio andare avanti con questo sport, però, deve diventare una professione, perché da adesso in poi sarà difficile, ci saranno molte spese. Il Comitato ci può appoggiare fino a quando siamo junior, pagandoci le trasferte, ma ora passo senior e dovrò fare da solo. Purtroppo i raduni si fanno quasi tutti nel Nord Est, dove c’è un’altra cultura di sport rispetto al Piemonte. In Val di Fiemme è normale vedere ragazzi che fanno skiroll sulla ciclabile, qui a Cuneo siamo tre o quattro sulla strada, non ci sono abbastanza ciclabili e in città c'è un anello senza dislivello, mentre a noi serve lavorare per la gran parte in salita, macinare chilometri in quota».

Insomma non è sempre semplice allenarsi bene.
«Purtroppo, tolto il Centro Fondo di Entracque, nella nostra zona non c’è nessuno con l’innevamento artificiale e in queste ultime stagioni non è nevicato moltissimo. Un atleta ha bisogno di allenarsi da più parti e per questo motivo devo ringraziare la Francia, in particolare il centro fondo “Larche-ski de fond” sul Colle della Maddalena, dove mi battono una pista spettacolare, che è completa e di fondamentale importanza per me quando non c'è neve e non ho alternative a Entracque. È stato utile per la testa, perché ha un percorso ottimo per l’allenamento, è in quota e ha un paesaggio stimolante. Cambiare fa bene».

Hai avuto difficoltà nel conciliare lo studio con lo sport?

«Diciamo che mi sono preso parecchi impegni, in quanto oltre agli allenamenti, le gare e il liceo musicale, ho frequentato anche il conservatorio, dove mi sono laureato in pianoforte, una passione nata presto, ho iniziato a nove anni. Probabilmente non sono riuscito a emergere presto nello sport, perché non gli ho dedicato tutto il tempo necessario, in quanto ho speso molte energie per studiare pianoforte e musica. È stato per me un grande sacrificio e un impegno pesante, perché non è facile andare a scuola, allenarsi, seguire la lezione al conservatorio e fare anche i compiti. Questo però mi ha aiutato, perché lo sport per molto tempo è stato lo sfogo che mi è servito a cancellare lo stress dello studio. Dall’altra parte, quando suonavo, liberavo la mia mente dai pensieri legati allo sport e i risultati. Ancora oggi tra una gara e l’altra ascolto musica classica, mentre a casa tra un ritiro e l’altro suono. Quest’anno, ai ritiri, mi sono anche portato dietro la tastiera, avevo l’esame a settembre, quindi studiavo durante gli allenamenti».

I tuoi compagni cosa pensano? Non si vede tutti i giorni un pianista in squadra.
«Diciamo che inizialmente erano un po’ sorpresi, ero visto come un ragazzo un po’ particolare. Da quando, a settembre, ho portato la tastiera ai raduni, tutti hanno apprezzato e hanno iniziato anche a chiedermi di suonare. La fisioterapista, per esempio, mi ha chiesto di suonare mentre fa i massaggi. Gli allenatori stessi sono contenti, perché loro ci spingono sempre ad avere altri interessi oltre allo sport, vogliono che ci creiamo anche altre prospettive. La musica mi ha aiutato a integrarmi meglio nel gruppo. Sarà un caso, ma a Zwiesel, proprio nel weekend in cui sono arrivato secondo, c’era un pianoforte in albergo, i miei compagni di squadra mi hanno sollecitato a suonare e l’ho fatto, suonando un sospiro di Listz. Mi ha portato bene».

Qual è il tuo sogno nel cassetto?

«Per il momento rimane lì nel cassetto, perché devo restare con i piedi per terra, lavorare quotidianamente e progressivamente per ottenere risultati. Certamente ho grandi obiettivi, perché se vuoi emergere devi pensare in grande, ma devi anche lavorare tanto con un obiettivo quotidiano nel piccolo e salire un gradino alla volta. Non posso nascondere che sogno di arrivare in Coppa del Mondo e in un mondo ideale vorrei vincere la 50 di Holmenkollen. Siamo stati lì con la nazionale ad allenarci, ho visto quel panorama e mi sono venuti i brividi. Disputare quella gara e vincerla rappresenterebbe un’emozione indescrivibile».

Hai un idolo nello sci di fondo, un atleta che prendi come punto di riferimento?

«Ce ne sono molti, qualcuno per il modo di correre, qualcun altro per il modo di essere. Mi piace Northug, per quell’atteggiamento un po’ “sbruffone” alla Sagan o Ibrahimovic. Poi stimo moltissimo Sundby per la tecnica. Sia chiaro, nessuno di loro è un idolo, non sono un super tifoso, come lo sono invece per Valentino Rossi nel motociclismo. Diciamo che tifo per quello che disputa una gara nel modo più spettacolare, in maniera più attenta. Guardo questi campioni per studiarli. Per esempio, Giorgio Di Centa era uno spettacolo per il modo in cui sapeva gestire le gare, la capacità di essere sempre l’ultimo nel gruppo, consumando poche energie, riuscendo a restare sempre lì mentre altri si staccavano, per poi andare a sferrare l’attacco vincente».

C’è qualcuno che vuoi ringraziare in modo particolare?
«Si, mio padre, perché è stato lui a iniziarmi al fondo, facendomelo vivere soprattutto come un divertimento. Ha allenato per molto tempo in Francia, nel G.S. Sauze – Barcelonette. Insieme alla mamma sono sempre presenti, mi seguono ovunque e mi hanno sempre sostenuto».

Per “colpa” sua ora tutti ti chiamano Dadà.
«È nato tutto da mio fratello, che mi chiamava così quando era molto piccolo. A casa mi è rimasto questo nomignolo, mio papà a bordopista ha iniziato a chiamarmi in questa maniera, gli altri l’hanno sentito e ora sono Dadà per tutti»

Giorgio Capodaglio

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