Biathlon | 05 maggio 2017, 07:29

Luca Ghiglione: "Grazie ad Alessandro Biarese, ho capito che bisogna dare sempre tutto per raggiungere ciò che si desidera"

Il giovane talento cuneese, cresciuto nello Sci Club Entracque Alpi Marittime e oggi alle Fiamme Gialle, ha ricordato il suo primo allenatore, scomparso due anni fa, e ha parlato poi della sua ultima stagione: "Quest'anno sono cresciuto molto fisicamente e mentalmente, ora spero di misurarmi in IBU Cup"

Luca Ghiglione: "Grazie ad Alessandro Biarese, ho capito che bisogna dare sempre tutto per raggiungere ciò che si desidera"

La cosa che più impressiona, appena si entra in contatto con Luca Ghiglione, è la sua concentrazione, anche durante un’intervista non lascia nulla al caso, è sempre attento, come se fosse in gara. È un ragazzo determinato, che non si è rilassato dopo essere stato arruolato dalle Fiamme Gialle, anzi, proprio questo lo ha responsabilizzato ancor di più. Allo stesso tempo, l’atleta cuneese, nativo di Entracque, è anche sincero, non ha paura di ammettere che voleva lasciare il biathlon perché lo riteneva troppo duro dal punto di vista mentale, e proprio per questo è molto grato a chi lo ha convinto a non mollare ed è stato per lui qualcosa in più di un semplice allenatore, un insegnante di vita, Alessandro Biarese, che ha avuto un ruolo determinante nella crescita sua e di tanti altri giovani biatleti del cuneese.

Ciao Luca, qual è il tuo giudizio sulla tua ultima stagione?
«Non è stata bellissima per me, perché non sono arrivati grossi risultati. Sono riuscito, però, a crescere molto sia mentalmente sia fisicamente, così guardo il lato positivo e, anche se non ho chiuso l’anno con i risultati che avrei voluto, sono comunque contento di essere migliorato sotto alcuni punti di vista. Entrando nei particolari, ritengo di aver avuto un buon inizio di stagione, ho fatto anche il mio esordio in IBU Cup e disputato delle discrete gare in Coppa Italia, poi ho avuto un calo che non mi aspettavo. Voglio fare meglio, a partire dalla prossima stagione».

Il cambio di preparazione potrebbe aver influito sulle tue prestazioni?
«Non penso, perché ho sempre cambiato preparazione negli ultimi anni, avendo avuto allenatori diversi. Sicuramente, essendo diventato professionista, sono entrato in una nuova ottica e ho aumentato le mie ore di lavoro, mi alleno molto di più. Sono convinto che il lavoro fatto nell’ultima stagione tornerà utile in futuro».

Hai detto di essere cresciuto anche dal punto di vista mentale.
«Ho avuto la possibilità di allenarmi con ragazzi più grandi di me, che hanno, quindi, una maggiore esperienza, avendo già avuto trascorsi in circuiti più importanti. Questo mi ha aiutato molto, perché da loro ho imparato cose nuove e ricevuto ottimi consigli. Non può essere altrimenti, per me e per Andrea (Baretto ndr) è importante avere attorno atleti più esperti, dei buoni esempi da seguire. In questo modo, possiamo solo crescere».

Ti sei già posto degli obiettivi in vista della prossima stagione?
«Si. Spero innanzitutto di migliorarmi ancora al tiro, perché nel finale di stagione ero un po’ stanco di testa e ho faticato a sparare. Poi spero di arrivare a un circuito superiore rispetto alla Coppa Italia, partecipare all’IBU Cup per fare esperienza e conoscere anche questa competizione».

Hai già avuto un’esperienza in IBU Cup, a Beitostolen. Puoi descrivercela?

«È stata una delle migliori esperienze dell’anno. Due settimane prima delle gare ci siamo radunati a Gheilo, sempre in Norvegia, a circa tre ore di distanza da dove abbiamo poi gareggiato, per abituarci alla neve, visto che in Italia non era ancora nevicato. Abbiamo avuto così modo di rimettere gli sci ai piedi e prendere confidenza con la neve, una cosa che rende sempre felici noi atleti. Con il nostro gruppo c’era anche Alexia Runggaldier, che insieme a Nicole Gontier, aveva ultimato la preparazione con noi in Norvegia, per poi esordire in Coppa del Mondo, a Oestersund, la settimana successiva. Sono state due buoni esempi per noi, soprattutto in allenamento. La gara di Ibu Cup mi ha insegnato molto, mi ha fatto capire quanto siano duri questi circuiti, visto che c’erano diversi atleti di Coppa del Mondo e ho concluso in 52ª posizione. Le cose cambiano tantissimo rispetto al Mondiale Junior e la Coppa Italia».

Torniamo indietro nel tempo: com’è nata la tua passione per il biathlon?

«Sono nato e vivo ad Entracque, dove abbiamo lo Sci Club Alpi Marittime. Lì ho iniziato a praticare fondo, poi successivamente, con l’arrivo di Alessandro Biarese, è stato introdotto anche il biathlon, così l’ho provato. Fino al periodo da aspirante ho praticato entrambi gli sport, poi ho deciso di proseguire con il fondo e lasciare il biathlon, perché lo ritenevo troppo stressante dal punto di vista mentale, ma anche logistico, visto che il poligono per allenarmi era distante da casa 45km. Alessandro Biarese, che era il mio allenatore e purtroppo è mancato due anni fa, mi ha consigliato di proseguire ancora un anno con il biathlon, perché probabilmente ha visto in me delle doti. In quella stagione ho vinto la Coppa Italia e ho disputato diverse gare positive, così non ho più avuto dubbi. Grazie a lui, quindi, non ho lasciato questo sport, che oggi amo tantissimo e non cambierei con nulla al mondo».

Quanto è stata importante per te la figura di Alessandro Biarese?

«Moltissimo, ma non soltanto per me, bensì per tutto lo Sci Club. Se ancora oggi lo Sci Club Entracque Alpi Marittime vince tanto, lo deve a lui che ha messo le basi e coltivato quello che oggi raccogliamo. Ci ha preso quando eravamo piccoli, ci ha cresciuto come atleti e come persone, perché senza il suo lavoro, probabilmente, a livello caratteriale e di testa non sarei così. Ci ha cambiato tanto, facendoci diventare dei “duri”. Lui è sempre stato una persona forte, come esce fuori anche dal suo libro, che consiglio di leggere (Non mi è mai piaciuto perdere, ndr). Una volta scoperta la malattia, infatti, ha dovuto subire un’operazione, che gli ha tolto la possibilità di camminare. Nonostante ciò veniva alle piste e ci seguiva, ha fatto fisioterapia, fino a riprendere a camminare e ad allenare. Quando vedi una persona così che ti segue sulle piste, capisci che bisogna darci sempre dentro per arrivare dove si desidera. Sicuramente, quando mi ha consigliato di proseguire un altro anno, non avrei mai potuto dirgli di no».

Cosa ti piace del biathlon?
«Non puoi mai dire chi vince, a differenza del fondo, dove fino alla passata stagione c’è stato un monologo norvegese. Si, nel biathlon abbiamo Fourcade che vince tantissimo, ma in qualunque caso non è mai detto che vinca lui la singola gara, come è accaduto per esempio ai Mondiali, quando addirittura si è imposto Bailey. Parlando da spettatore e non soltanto come atleta, amo questo sport per la sua imprevedibilità».

Uno sport che per un atleta è però molto complicato.
«Da atleta è molto difficile, perché combina lo sci e lo sparo, ci vuole concentrazione, testa, dalla mattina quando ti svegli fino alla fine della gara. Non puoi mollare mai, con il fucile devi essere sempre preciso e non perdere mai la testa, pensare alle tue pulsazioni, respirare, non puoi lasciare nulla al caso. Devi anche capire la tattica da affrontare, perché la nostra è una gara di fondo, ma contemporaneamente non puoi chiedere troppo a te stesso e arrivare stremato al poligono».

Il biathlon è stato per te importante anche nella vita di tutti i giorni?
«È stato molto utile nella vita, perché sono diventato molto più organizzato rispetto a quando ho iniziato. Questo è uno sport che ti responsabilizza, perché hai un’arma. La prima cosa che Roberto Biarese (mio allenatore di tiro ad Entracque) mi ha spiegato, è stata come usare l’arma, mi ha fatto curare il lato della sicurezza. Questo sport, soprattutto per un giovane, ti responsabilizza, ti rende più maturo, ti fa crescere molto di più rispetto ad altri».

Qual è il tuo sogno nel cassetto?
«Come ogni atleta sogno un giorno di andare alle Olimpiadi. Adesso, però, voglio fare un passo alla volta, iniziando a partecipare a gare internazionali. Per i sogni c’è tempo».

Chi è il tuo idolo nel biathlon?
«Il mio atleta preferito è Bjoerndalen, non capisco come faccia ancora a fare gare, a reggere sia fisicamente sia mentalmente. È un grandissimo, ho il massimo rispetto per quello che fa, perché ha una passione enorme ed è un grande esempio per tutti».

Giorgio Capodaglio

Ti potrebbero interessare anche: