| 05 giugno 2017, 18:59

Giorgio Brusadelli: "Vi racconto la mia esperienza alla 24 ore di Pinzolo"

La mostra sulla 24 ore di Pinzolo, ha spinto Giorgio Brusadelli a condividere con tutti i lettori le emozioni vissute da protagonista in questa competizione

Giorgio Brusadelli: "Vi racconto la mia esperienza alla 24 ore di Pinzolo"

Dal tardo pomeriggio di venerdì 9 giugno Pinzolo potrà vantare un nuovo motivo di attrazione turistica: la mostra permanente della 24 ore di fondo che per 10 anni, dal 1980, ha attirato su questo centro dell’Alta valle Rendena l’interesse degli appassionati di questa disciplina nordica. La Marcialonga aveva fatto scuola nelle valli di Fassa e di Fiemme a cominciare dal 1971, mentre qui, in quest’ altra vallata trentina, avevano trovato l’occasione di sfogarsi in una gigantesca staffetta a 4 elementi o singoli fondisti intenzionati a misurare le proprie capacità di resistenza ad uno sforzo prolungato dalle 14 del sabato fino alla stessa ora della domenica.

Ovviamente, anche per una questione di “mestiere”, non potevo perdere questa occasione. Direttore di Scifondo, rivista specializzata in materia, essere al via significava poter rivivere, dall’interno di questa gara di nuova concezione, lo spirito che mi aveva portato nel 1970 alla Vasaloppet, quando ancora non sapevo neppur sciare, e l’anno successivo alla Marcialonga nata per iniziativa di quattro trentini (Chistolini, Giovannini, Moggio e Zorzi) con i quali avevo condiviso quella sgambata in terra svedese, nella regione della Dalarnia, sui 90 km che dividono il villaggio di Salen e la città di Mora. Un revival storico per ricordare la fuga dell’aristocratico Gustavo Vasa dalle truppe del re Cristiano che voleva massacrarlo insieme agli altri nobili che cercavano di opporsi al suo potere. Un bagno di sangue che alla fine risultò controproducente per chi l’aveva voluto perché Gustavo, guidando la rivolta, sconfisse l’avversario e diventò re al suo posto. Come avevano già fatto l’anno precedente per la prima Marathonski dell’Engadina, che però è di 42 km, mi coinvolsero gli amici del CAI. Fisicamente c’ero. Avevo le gambe per emergere nella corsa e in bicicletta, ma la tecnica del fondo era ancora un optional: roba da Fantozzi, restai in giro per quasi 12 ore. Sperduto nei boschi, nelle retrovie, e nel buio. Dal ritiro comunque giustificato mi salvò solo l’orgoglio.

Doveroso, quindi, che dopo aver assimilato un po’ più di tecnica e di essermi impratichito dei materiali (sono stato l’inventore dei primi test “seri”e scientifici), mi cimentassi anche in questo tentativo mettendo insieme una squadra di giornalisti: il trentino Antonino Vischi de L’Adige, che era quasi di casa, e i fotografi Bepi Zanfron, bellunese passato alla storia per essere stato il primo ad arrivare a Longarone per il disastro del Vajont, e Mirko Barbavara, della Rivista SCI, che non poteva certo mancare un’occasione del genere. Turni di un’ora ciascuno nelle ore di luce, due durante la notte. Il guaio, per me, fu che Zanfron, dal sonno pesante, non sentì la sveglia e alle 2 non venne a darmi il cambio e dovetti quindi restare in pista fino al cambio successivo, fra le maledizioni di mia moglie che, non avendomi visto rientrare, pensò che mi fosse capitato qualcosa e venne in pista a cercarmi. Attirata dalle luci dello stadio, ritenne più proficuo accorciare la strada tagliando per i prati invece che seguire la strada, e si trovò impantanata nella neve che arrivava fino alla vita. E la colpa, ovviamente, ricadde sul sottoscritto che in quelle 4 ore si era sorbito più o meno la distanza della Marcialonga, alla quale del resto avevo rinunciato dopo le prime 5 edizioni perché la sesta era stata finalmente aperta anche alle donne che volevo seguire dall’esterno per valutarne il comportamento. Vinse una biondina francese. Per questo, già dal 1971, mi ero battuto contro tanti amici trentini e sono stati gli stessi a sollecitare la mia partecipazione all’ottava dopo che, sulla pista Alochet del S. Pellegrino, avevo vinto alla vigilia la gara riservata ai giornalisti. Ovviamente in questa occasione la nostra squadra non è passata alla storia delle 24 h per il risultato ma, assicuro, c’è stato veramente da divertirsi.

Più faticosa, invece, l’edizione 1982, alla quale presi parte ma in veste di allenatore di Sonia Basso, di Asiago, che avevo cominciato a seguire nell’estate 1978, riportandola al titolo italiano della 10 km che era già stato suo l’anno precedente battendo Maria Canins, ma non aveva più avuto seguito l’inverno successivo. Sembrava che non ne indovinasse più una. Al di là della forza dell’avversaria, a fare la differenza era stata una questione di materiali, più che altro. Coinvolto dall’amico Fabio Crestani, che aveva organizzato ad Asiago la prima gara di skiroll, e su richiesta del papà della ragazza, che si era reso conto della mia competenza in materia, divenni così il suo allenatore, suscitando un vespaio nell’ambito della Fisi e di quanti, l’anno successivo, la videro trionfare sulla pista di Passo Coe, alle spese di Maria Canins e di Guidina Dal Sasso, nettamente favorite. Che si ritrovarono pesantemente battute poiché in quell’occasione usò un prototipo Spalding con la soletta di teflon con il quale, sulla neve bagnata, avevo già fatto la differenza alla Marcialonga. Dove, sotto la pioggia battente e con una particolare sciolinatura del Gide di Moena, a base di gialla bruciata, di klister Swix e Rode 20/80 io avevo ottenuto il mio miglior piazzamento e un tempo per me quasi incredibile, mentre tutti gli altri avevano peggiorato le loro prestazioni cronometriche. Arrancavano dove invece io scivolavo via quasi senza spingere.

In condizioni pressoché analoghe, ovvio che questa differenza la riscontrasse anche Sonia Basso, che tre anni dopo avrebbe preso parte alla 24 h solo dietro mie specifiche pressioni motivate non solo dalla possibilità di stabilire il nuovo primato mondiale sulla distanza ma anche di guadagnare il premio messo in palio dalla Spalding (un milione) per chi avesse battuto il primato precedente stabilito, con km 209,308 (media km/h8,696), da Margherita Cuccurru Morandini nel 1980. Soldi che le avrebbero fatto comodo per acquistare la nuova motoslitta per battere la pista del centro fondo Fontanella che intendeva crearsi ad Asiago-Lusiana.

Risolto il problema materiali con 6 paia di sci che il tecnico della Spalding, Andreoletti, mi aveva dato per poter affrontare le più diverse condizioni di neve, non c’era che provarlo in pista. Sonia ci avrebbe messo testa e gambe, pur avendo denunciato un problema al ginocchio nella 10 km degli assoluti svoltisi il giorno precedente ad Asiago, mentre io avrei provveduto a tutta la parte tecnica e alimentare. Studiata, quest’ultima, con l’amico Paolo Sorbini, farmacista titolare dell’Enervit che proprio in quei mesi aveva lanciato la prima linea di prodotti dietetici sostitutivi del pasto “Enervit Protein”, e il fratello medico che mi aveva comunque suggerito di introdurre qualche variazione a mio piacimento. Che, in questo caso, aggiunta alla pastina Gaby, famosa specialità comasca per l’infanzia, fu il Nipiol omogeneizzato di manzo e prosciutto. In pratica una dieta semiliquida. Con un po’ di fantasia, insomma.

Skiman e cuoco nello stesso tempo. Cambio sci ogni due giri e rifornimento. Un divertimento ma anche una faticaccia: in pratica sono rimasto in piedi per 39 ore consecutive ma l’obbiettivo fu centrato come avevo previsto ma non come avrebbero voluto gli organizzatori che puntavano al grosso risultato, che sarebbe stato possibile e avrebbe fatto impressione, ma non era nelle mie intenzioni. Volevo infatti che il record mondiale sulla distanza venisse battuto, ma senza strafare. Quello, semmai, lo si sarebbe potuto fare in un’altra occasione. Per il momento la prestazione passava in secondo piano rispetto al milione in palio. Tanto è vero che Sonia Basso a mezzanotte, dopo le prime 10 ore di gara, era addirittura fra i primi 5 della classifica assoluta e ritenni quindi di mandarla a riposarsi fino alle 6 del mattino nella cuccetta che era stata creata nella sala riservata alla sciolinatura. Ripresa la corsa, venne fermata nuovamente dalle 10 a mezzogiorno quando, iniziando la diretta Tv su RAI 3, si sarebbe potuto concretizzare il nuovo record, stabilito poi in km 219,216 (media km/h 9,159). Traguardo raggiunto, dunque, ma primato facilmente battibile. Tanto è vero che Margherita Cuccurru lo riprese nel 1983 con km 235 (media km/h 9,791). Ma non c’era più il milione in palio, però.

Personalmente, come detto, il mio obiettivo era stato raggiunto. In quell’anno terminò anche la mia avventura di allenatore che mi aveva dato soddisfazioni ma creato anche tante inimicizie specialmente all’interno della Fisi dove dava fastidio che un giornalista “non allineato” facesse l’allenatore per competenza senza averne guadagnato il diploma che non era certo quello che mi interessava. Per anni, attraverso Scifondo, mi ero battuto perché venisse costituita quella squadra femminile che il CT Mario Azittà non voleva poiché avrebbe tolto fondi a quella maschile che invece gli premeva. Che comunque cominciò a fare risultati quando si prese la strada per Ferrara. Per le donne, invece, non c’era spazio, e così si è persa una generazione. Avrebbero trovato valorizzazione solo quando sulla scena arrivarono Manuela Di Centa e Stefania Belmondo non tanto per i risultati che cominciarono a fioccare ma piuttosto per le “beghe” fra le due primedonne che facevano notizia anche per la stampa interessata solo ai pettegolezzi. Per loro vennero costituiti staff separati dal resto del gruppo.

Ma già allora il fondo me l’ero messo alle spalle. Maggior impegno al giornale che mi dava lo stipendio, stanchezza di continuare a fare battaglie in cui non ero più coinvolto in prima persona, problemi di salute che hanno comportato un primo intervento di bypass a cuore aperto, altri infarti e, nel complesso, sei angioplastiche. Ormai ho più stent che arterie naturali. A 80 anni compiuti, se voglio sfruttare ancora un poco la pensione e il piacere di fare il nonno di due splendidi nipotini, un po’ di calma e di prudenza si rendono necessarie. Sia pur contro la mia natura, mi devo adattare. Con la soddisfazione però, di vedere che le mie idee hanno fatto presa e sopravvivono. Nella realtà generale e non solo su questo sito.

Giorgio Brusadelli

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