Sci di fondo | 02 maggio 2018, 15:33

Bruno Debertolis: "Il Team Trentino Robinson Trainer ha un progetto molto ambizioso"

Il team manager del Team Trentino Robinson Trainer ci fa viaggiare all'interno del progetto della sua squadra e ci fa conoscere meglio il fascino delle gran fondo: "Siamo spinti dalla passione; dal prossimo anno però appenderò gli sci al chiodo e mi dedicherò al lavoro dirigenziale per la squadra"

Bruno Debertolis: "Il Team Trentino Robinson Trainer ha un progetto molto ambizioso"

La stagione 2017/18 si è chiusa in un modo splendido per il Team Trentino Robinson Trainer, protagonista nel Visma Ski Classics, il circuito delle grandi distanze che comprende anche la Marcialonga, la Sgambeda e la Dobbiaco – Cortina. La squadra trentina di Bruno Debertolis e Gianni Casadei, infatti, si è piazzata al sesto posto assoluto tra le squadre, togliendosi diverse soddisfazioni nel corso dell’anno, tra le quali il successo di Justyna Kowalczyk nella Birkebeinerrennet, quello di Francesco Ferrari nella Skadi Loppet, la vittoria di Tanel nella 30km della Gran Fondo Val Casies nella quale sul percorso da 42km è giunto secondo proprio Ferrari e infine il bellissimo sesto posto di Mauro Brigadoi alla Ylläs-Levi. Di tutto questo abbiamo parlato con Bruno Debertolis, che dopo anni in Coppa del Mondo è entrato nel circuito delle grandi distanze ed è oggi team manager della formazione trentina.

Buon pomeriggio Debertolis; com’è nata l’idea di dar vita al Team Trentino Robinson Trainer?
«È nato tutto nella primavera dello scorso anno, quando abbiamo unito il Team Robinson di Gianni Casadei e il mio Team Xcalibur. Abbiamo compreso che se avessimo voluto puntare in alto nel mondo del gran fondo, avremmo dovuto unire le nostre forze in un unico team perché le risorse sono ridotte. Abbiamo quindi creato un gruppo di atleti in grado di crescere e con i risultati aiutarci a reperire nuove risorse economiche per poter puntare sempre più in alto».

La risposta degli sponsor qual è stata?
«Positiva. Siamo stati molto fortunati perché il Trentino ha creduto nel nostro progetto, diventando così il main sponsor della squadra alla quale ha anche dato il nome. Il nostro obiettivo a lungo termine è quello di costruire una squadra che possa aiutare i giovani, usciti dal periodo junior nei comitati e rimasti fuori dal giro delle nazionali giovanili o degli arruolamenti, a continuare l’attività. Capisco che questo discorso possa sembrare ambizioso e utopico ma oggi le possibilità attraverso i corpi militari sono risicate, quindi vedo la necessità di allargare la nostra squadra affiancando all’amatore evoluto, come potrei essere io, dei giovani che possano in questa maniera continuare l’attività senza dover abbandonare il fondo agonistico, non soltanto nel circuito delle gran fondo ma anche guardando in maniera ambiziosa nel settore delle classiche gare di Coppa Italia, Campionati Italiani fino ad arrivare anche a gare internazionali. Noi adesso, come Team Trentino Robinson Trainer, ci troviamo in una vetrina molto importante come il circuito Visma Ski Classics, che sia chiaro non è dietro la Coppa del Mondo ma al suo fianco, stiamo cercando di farci conoscere e in questa maniera di reperire sempre maggiori risorse da reinvestire. L’obiettivo ambizioso a lungo termine è di costruire due gruppi che lavorino in sinergia e portare avanti qualcosa che in Italia non esiste. Quindi, tornando al presente, in questa nostra prima stagione abbiamo raggiunto l’obiettivo primario di farci conoscere».

Insomma come giudichi la vostra stagione?
«Siamo andati meglio del previsto e sono davvero molto soddisfatto. Siamo partiti con l’idea di confermare una posizione a ridosso delle prime dieci del ranking, ben consapevoli che da lì in avanti ogni posizione in più avrebbe rappresentato una rampa di scale intera. È andata bene, abbiamo lavorato nel migliore dei modi, i tecnici sono stati bravissimi, perché non è mai facile trovare gli sci giusti in gare come le nostre nelle quali le condizioni della neve cambiano nel corso della competizione. Per riuscirci bisogna avere tanta esperienza e siamo contenti di avercela fatta perché in più di un’occasione i nostri atleti hanno avuto degli ottimi sci, tra i migliori del lotto. Alla fine è arrivato questo splendido sesto posto nel ranking».

Al vostro primo anno vi siete presentati al via con Justyna Kowalczyk, a conferma che siete ambiziosi.
«È stato forse il grande colpo di mercato dell’intero circuito dello Ski Classics perché era ambita da tutti. Diciamo che mi è costata quattro mesi di mail (ride, ndr). Ce l’abbiamo fatta e siamo contentissimi di averla perché si è comportata benissimo, da vera professionista. Ci ha ripagato con la vittoria al Birkebeinerrennet, una delle tre gare più importanti al mondo, con diciottomila partecipanti al via, qualcosa di fantastico. Quello norvegese è un popolo molto sportivo, pensate che se quel giorno ci sono belle condizioni si iscrivono, altrimenti si mettono nella pista affianco e si fanno ugualmente 50km. Qualche anno fa la gara venne annullata perché faceva troppo freddo, la temperatura sarebbe scesa durante la gara a quaranta gradi sotto lo zero. Noi uscimmo ugualmente di casa con -20 gradi, per andare comunque a Lillehammer sugli sci, ci siamo fatti la prima salita da 13km e nonostante tutto c’erano ancora tantissimi tifosi a bordopista ad aspettare gli atleti che sarebbero passati ugualmente. La maggior parte delle persone si era tolta il pettorale e come noi è andata ugualmente a Lillehammer sugli sci facendosi una gita di 54km».

Qual è il livello di queste gare?
«Ci sono turisti e atleti d’elite, un livello molto alto, affiancabile a quello della Coppa del Mondo. Non a caso chi viene da lì, quando gareggia nel nostro circuito, fatica a stare tra i primissimi. In fin dei conti si è visto con Ustiugov che ha faticato nella Dobbiaco – Cortina, lo stesso Northug non ha vinto quando ha gareggiato, solo Sundby ci è riuscito una volta. Insomma quando questi atleti si iscrivono alla Marcialonga non vengono certo a vincerla perché trovano un livello altissimo. Poi c’è la massa di gente che gareggia al fianco dei big, gare come Vasalopoet, Birkebeinerrennet o Reistadløpet, che vengono trasmesse in diretta tv e vedono al via decine di migliaia di atleti. Per farvi capire quanto sono appassionati in Scandinavia, pensate che in occasione della Reistadløpet, la tv principale norvegese ha trasmesso la nostra gara ma anche i campionati nazionali di fondo e uno speciale sulla Bjørgen che si è ritirata quel giorno. Insomma tutto il giorno dedicato al fondo».

Cosa ti spinge, a quasi quarant’anni, a fare tanti sacrifici per prepararti in vista di queste gare?
«Ovviamente la passione, un qualcosa che se fortunatamente non ti viene bruciata da altri, rimane per sempre. Lo sport di fatica si fa soltanto se hai passione, non per convenienza o moda del momento, devi faticare, lottare contro te stesso perché non ti regala nulla nessuno. Dopo essere stato atleta professionista, da otto anni mi alleno tra un turno e l’altro in Finanza, nei ritagli di tempo, magari al mattino presto o la sera dopo le otto. Dopo anni è sempre più difficile, quindi, anche se non l’avevo ancora dichiarato apertamente, credo sia arrivato il momento di appendere gli sci al chiodo e smetterla con le gare, continuando solo come “dirigente” della squadra».

Quali sono le differenze tra la Coppa del Mondo e il circuito delle grandi distanze?
«Posso parlare per conoscenza diretta, dal momento che ho vissuto l’ambiente della Coppa del Mondo per una decina di anni. È bellissimo, sia chiaro, ci sono grandi campioni e tanti sponsor, aziende che seguono gli atleti, ma è un po’ chiuso perché non sei a contatto con nessuno al di fuori di altri atleti, allenatori e tecnici. Le gran fondo, invece, sono l’essenza di questo sport, perché vedi il vecchietto o l’amatore scendere in pista e correre la gara insieme al mito per cui stravede. Quel giorno può gareggiare sulla stessa distanza e una neve identica, confrontandosi con il suo idolo. Soltanto questo sport e l’atletica con la maratona offre un’occasione del genere. Molti sponsor stanno cogliendo questa grande forza delle gran fondo e stanno investendo nel circuito. Non a caso il team che ha vinto quest’anno è sponsorizzato dalla Santander. Abbiamo squadre formate da cinque o sei atleti con a disposizione budget di due o tre milioni di euro, cifre anche esagerate ma giustificate dal fatto che il circuito paga bene, magari non ai livelli dello sci alpino, ma chi vince lo Ski Classics incassa 40mila euro, più i premi per le vittorie di tappa. Insomma questo circuito affascina anche gli atleti oggi in Coppa del Mondo, perché l’impatto di gareggiare insieme ad altre diciassettemila persona non ha eguali. Pensate poi per un tifoso medio, il semplice appassionato, cosa significhi vedere la mattina prima della gara un campione come Gjerdalen».

Qual è stata la cosa per te più bella della stagione?
«La condivisione con gli altri ragazzi che, essendo anche quindici anni più giovani di me, mi hanno chiesto tanti consigli, hanno cercato di “rubare il mestiere”. Vedere poi il lavoro fatto da aprile a novembre realizzarsi allo start della prima gara è stata una soddisfazione esagerata, perché avevo curato ogni aspetto del team, dal colore della tuta alla posizione degli sponsor, dal furgone ai tecnici. Poi, oltre alle vittorie ottenute, la mia soddisfazione più grande è arrivata all’Ylläs-Levy, quando Mauro Brigadoi è giunto al sesto posto e mi ha aspettato in lacrime sapendo che quella sarebbe stata la mia ultima gara, ringraziandomi per averlo aiutato nel realizzare il suo sogno di entrare nei primi dieci. Non male per essere la mia stagione da team director (ride, ndr)».

Quali sono i vostri obiettivi per la prossima stagione?
«Adesso vi do una notizia sotto banco (ride, ndr): siamo già in contatto con alcuni atleti di primo piano, attratti da noi per la fiducia che abbiamo ispirato sulle piste grazie al nostro staff. Potrebbe esserci qualche grossa novità alle porte. Per il resto abbiamo già individuato un paio di giovani ai quali dare una possibilità come abbiamo già fatto con Mauro Brigadoi e Francesco Ferrari, il quale ha fatto una stagione al di sopra delle aspettative. Per il resto confermeremo il nostro staff con l’obiettivo di andare avanti e scalare ancora posizioni».

E per il futuro?
«Parlando in modo ambizioso e utopistico, sarebbe bello riuscire un giorno a riportare un fondista italiano a vincere la Marcialonga dopo tanti anni. Secondo me le carte giuste in Italia le avremmo ma dovremo capire quando sarà il momento giusto per poterle calare sul tavolo. Mi auguro possa andare avanti una sorta di sinergia tra il fondo italiano e il Team Trentino Robinson Trainer. La comparsata di Diddi (Nöckler, ndr) con noi c’è stata e come lui mi auguro possano essercene altre».

Dici che gli atleti di Coppa del Mondo potrebbero essere affascinati dal gareggiare anche in questo circuito?
«Per forza. È una sfida contro se stessi, l’essenza del fondo. Come un corridore non si sente mai tale fino a quando non fa una maratona, un fondista non può dirsi tale senza aver mai corso una gara come la Vasaloppet. Prendete me, in Coppa del Mondo gareggiavo nelle distanze brevi e da anni invece faccio questa gare»

Giorgio Capodaglio

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