Sci di fondo - 14 giugno 2018, 14:11

Il nuovo dt Marco Selle: "Lavoriamo per il fondo italiano del futuro"

Lunga intervista al nuovo direttore tecnico dello sci di fondo italiano: dallo stato di salute del movimento agli obiettivi per la prossima stagione, dal confronto con altre nazioni alle soluzioni per risolvere i problemi

Il nuovo dt Marco Selle: "Lavoriamo per il fondo italiano del futuro"

Lunghe giornate di lavoro, il telefono che squilla di continuo, viaggi in giro per l'Italia e tante riunioni. Le giornate di Marco Selle, da quando ha ricevuto l'incarico di direttore tecnico dello sci di fondo, sono piene di impegni e responsabilità, che si è preso però molto volentieri, vista la sua passione per lo sci di fondo e la voglia di aiutare il movimento italiano a uscire dalle difficoltà e costruire delle basi solide per il futuro. Di questo nuovo ruolo, delle sue idee e aspettative abbiamo parlato con Selle in questa lunga intervista, nella quale si sono anche affrontate le problematiche che hanno frenato lo sci di fondo italiano in questi anni.

Buongiorno Selle. Dal punto di vista personale, cosa significa per lei aver assunto questo ruolo?
«Personalmente è un onore aver ricevuto questo incarico, soprattutto perché mi è stato proposto dal presidente Roda e da Gabriella Paruzzi. Per me è la continuazione di un percorso, dal momento che ho già avuto diversi ruoli all’interno del movimento, prima come allenatore poi da responsabile, adesso come direttore tecnico agonistico, per il quale mi torneranno utili le esperienze avute in passato. Messo da parte l’onore, però, so di aver ricevuto in dote un ruolo che comporta tante responsabilità e un numero elevato di impegni che mi porteranno a fare tanti sacrifici. Però il fondo è da sempre la mia vita e non potevo certo rifiutare questo incarico».

Qual è lo stato di salute del fondo italiano? Che situazione ha trovato?
«È inutile nasconderci dietro a un dito, se non ammettiamo che il fondo ha dei problemi allora è inutile provare a risolverli. Se paragoniamo la situazione attuale a quella di dieci o venti anni fa, c’è poco da fare, ma l’analisi deve essere globale, va fatta a livello mondiale. Se vent’anni fa, per esempio, l’Italia e la Germania lottavano e a volte erano anche superiori a Norvegia, Russia o Svezia, oggi le cose sono molto cambiate. Ci sono due nazioni dominanti, la Norvegia davanti a tutte e la Russia a inseguire, poi altre che si sono però allontanate da queste squadre. Le motivazioni sono diverse e non vanno ricercate soltanto nell’ampio bacino d’utenza che hanno rispetto a noi, anche se è un dato di fatto che la Norvegia ha almeno venti volte il numero dei nostri praticanti e la Russia ancor di più. In Norvegia c’è un grande interesse per questa disciplina, che si somma alla capacità di allevare degli sportivi a 360 gradi, a partire dalla scuola, molto superiore alla nostra. La Russia è affamata di sport, lì gli atleti hanno voglia di fare esperienza internazionale, sfruttare la disciplina sportiva per uscire da una realtà che sotto diversi punti di vista è meno piacevole rispetto alla nostra. Un altro punto da non sottovalutare è la società. Oggi è difficile che uno sport di fatica trovi tanti adepti in una società nella quale ci sono tante altre alternative sportive ed “elettroniche”. Si hanno sempre maggiori difficoltà a trovare persone disponibili a sacrificare tutto per concentrarsi su una disciplina nella quale soltanto dedicandocisi in maniera totale si possono ottenere risultati. Se allenarti per vincere le gare non è il tuo primo obiettivo, non hai la possibilità di emergere nemmeno se hai i numeri di un potenziale campione. Questo mix ci mette di fronte a diversi problemi, alcuni affrontabili e risolvibili, altri da considerare ma difficili da superare perché legati a problematiche sociali o climatiche. Su quest’ultimo punto non dimentichiamo che sulle Alpi in questi anni è nevicato molto meno e a quote sempre più alte, mettendoci così in una posizione di netta difficoltà rispetto ai paesi scandinavi o la Russia. Non sottovalutiamo poi il discorso scolastico, che è centrale, perché qui in Italia siamo molto più indietro rispetto alle altre nazioni, anche alpine, nella pratica della discipline sportive negli istituti scolastici e ciò ci penalizza. Per tutti questi motivi dovremo essere più bravi e compatti rispetto alle altre nazioni che partono più avanti, se vogliamo pensare di competere con loro. Purtroppo la situazione è diversa rispetto a un passato che, se guardiamo indietro, non sarebbe nemmeno così lontano, ma alla velocità con cui cambiano le cose negli ultimi anni, appare lontanissimo».

In questi anni nazioni come Germania e soprattutto Francia hanno superato l’Italia; come se lo spiega?
«Credo venga tutto da un’organizzazione che è partita già parecchi anni fa. In Germania, per esempio circa venticinque-trenta anni fa hanno fatto partire un progetto legato ai centri federali, che hanno creato diversi campioni nel fondo e non solo, prima di vivere un periodo di difficoltà perché stanno faticando a rimpiazzare nel fondo atleti come Angerer, per esempio, anche se hanno fatto vedere grandi cose al Mondiale Junior vincendo la staffetta femminile. Successivamente la Francia ha messo in piedi un progetto simile, legato ad alcuni centri di “raccolta talenti” e un centro federale a Premanon, dove si trova la sede distaccata della federazione francese. Il loro è un progetto simile, anche se in piccolo, a quello tedesco. In quindici anni sono riusciti a produrre diversi ragazzi che stanno facendo meglio degli altri nell’arco alpino. Dobbiamo guardare a loro e il nostro obiettivo deve essere quello di mettere in campo tutte le nostre forze per seguire il loro esempio»
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Quali saranno i vostri interventi nell'immediato?
«Nell’alto livello, ovviamente, guardiamo al presente e metteremo a disposizione tutto quanto ci sarà possibile per permettere ai nostri atleti di esprimere al meglio le proprie potenzialità. Vogliamo fare risultato e mettere i nostri atleti nelle condizioni ideali per regalare soddisfazioni a tutti noi e a se stessi in Coppa del Mondo e ai Mondiali di Seefeld. La squadra maschile ha diverse potenzialità di medaglia, non soltanto con Pellegrino, che può fare grandi cose, ma anche con De Fabiani che può avvicinarsi ai migliori. Mi auguro e sono convinto che anche gli altri miglioreranno ancora. Con la squadra femminile, invece l’obiettivo è quello di dare nuovamente fiducia alle ragazze. Non soltanto quelle che fanno parte della squadra oggi ma anche le altre che arriveranno lì o hanno l’ambizione di farlo. Dobbiamo porre l’asticella al punto giusto, non chiedere vittorie o podi, ma ottenere il massimo che è oggi nelle loro possibilità. Le ragazze hanno i mezzi per fare risultati migliori rispetto agli ultimi anni. Per quanto riguarda le squadre Under 23, vogliamo creare dei ragazzi pronti a subentrare agli attuali elementi della Squadra A. In questo sport bisogna avere la consapevolezza che, a parte super talenti come Bolshunov o Klaebo, serve del tempo per arrivare. Loro però devono avere già un occhio alla Coppa del Mondo, non bisogna continuare a dirgli che sono piccoli e devono crescere con calma. Possiamo aspettarli ma devono dimostrare che il loro obiettivo sia quello di gareggiare in Coppa del Mondo, anziché svernare in Coppa Italia o OPA Cup. Lì abbiamo inserito dei tecnici di provato valore come Cardini e Pasini perché sappiamo che possono farli crescere bene. Inoltre c’è Pietro Piller Cottrer che mi sta aiutando moltissimo, dandomi un supporto prezioso con loro e con tutto il settore giovanile. Per lui è un ruolo nuovo e poco alla volta subentrerà in quella che fu la mia posizione lo scorso anno. Per quanto riguarda gli Junior, che già beneficiano dei progetti iniziati negli ultimi tre anni, tanto che mediamente siamo sempre rimasti tra il quinto e sesto posto del ranking giovanile mondiale, spero di migliorare ancora una volta. Dobbiamo lavorare con grande attenzione a un progetto che consenta all’Italia di scalare tante posizioni non grazie al talento solitario frutto del caso, ma attraverso un progetto come quello tedesco o francese. Vogliamo che i giovanissimi di oggi possano trovare un’organizzazione in grado di mettergli a disposizione il meglio per crescere bene».  

Perché l’Italia non si è mossa prima?
«In passato si ottenevano dei risultati importanti, c’erano alcuni fari che trainavano tutti gli altri e le cose andavano bene. Purtroppo, quando arrivano i risultati non si pensa sia necessario dar vita a un nuovo progetto. Gli errori vengono a galla soltanto una generazione dopo. Oggi è giunto il momento di cambiare, perché i problemi del passato sono venuti a galla, quindi bisogna iniziare con dei nuovi progetti, cercando nel frattempo di ottenere i risultati tirando fuori il massimo da Chicco (Pellegrino, ndr) e gli altri, augurandoci che Under 23 e Junior facciano il salto di qualità. Dobbiamo però lavorare per permettere al fondo italiano del 2025 di essere più pronto rispetto a quanto non lo sia stato negli ultimi anni. Sarei felice se tra dieci anni si dovesse dire che l’Italia starà ottenendo risultati grazie al lavoro iniziato nel 2018 con me».

Avete cambiato molto anche per quanto riguarda gli allenatori; come sono nate alcune scelte?
«Saracco ha già lavorato con la FISI, ha fatto una bella esperienza internazionale in Slovenia e gode della fiducia di Pellegrino che è per noi un valore da tutelare. Proprio con quest'ultimo ci siamo confrontati più volte, abbiamo ipotizzato insieme varie soluzioni, cercando di trovare quella migliore per dare tranquillità a lui e i compagni. Saracco alla fine si è rivelata la scelta più convincente per tutti. Per lui e tutti gli altri tecnici azzurri ci sarà anche l’importante supporto di Magnar Dalen, che ha lavorato in passato per Norvegia, Svezia e Finlandia, oggi team director nel circuito delle grandi distanze per il Team Santander e allenatore di alcuni atleti di Coppa del Mondo. Abbiamo deciso di collaborare con lui per la pianificazione generale dei programmi di tutte le squadre e devo dire che mi sono tranquillizzato, perché ho visto che come metodi siamo tutt’altro che distanti dalle nazioni leader. Per quanto riguarda la squadra femminile, venivamo dalla passata stagione quando non è stata formata alcuna formazione. Questo, però, ha permesso a Paredi, Pasini e Scola di allenare le atlete e fare così un’importante esperienza. Per questo motivo ho subito cercato questi tre allenatori, li ho voluti coinvolgere, anche se per il momento Scola non ha potuto far parte del team, anche se ci auguriamo di inserirlo almeno con i giovani. Pasini ha fatto una bella esperienza con i Carabinieri, mentre Paredi ha lavorato benissimo con Elisa Brocard, l’atleta che meglio ha fatto nella passata stagione e per questo motivo gli abbiamo dato questa responsabilità».

Intanto diversi atleti italiani si sono ritirati; ciò la preoccupa?
«Sicuramente è uno degli elementi che ci preoccupa e non dobbiamo nasconderci, perché se alcuni atleti non hanno ottenuto i risultati che speravano è anche colpa nostra. La situazione attuale è questa, purtroppo l’impoverimento dei gruppi sportivi ha costretto diversi atleti giovani al ritiro, visto che abbiamo un terzo degli atleti arruolati rispetto al passato. Mi è dispiaciuto tanto che Gaia (Vuerich, ndr) abbia deciso di ritirarsi prima che io prendessi questo incarico. Simone Paredi ha provato a convincerla e contemporaneamente io ho chiamato i suoi capi del CS Carabinieri, ma ormai era troppo tardi.  Mi dispiace perché lei aveva molto talento e poteva tirare fuori ancora tanto. Soprattutto in una sprint come quella mondiale di Seefeld, se in giornata buona, avrebbe potuto puntare in alto. In generale è un peccato che alcuni atleti lascino ambiente con il rammarico di non essere stati messi nelle condizioni ideali o tutelati dalla federazione. In parte hanno anche ragione, ma va detto che spesso questi ragazzi le occasioni le hanno avute. Mi auguro che in futuro non si portino dietro solo i ricordi negativi e possano pensare al fondo più con gioia che con amarezza. Anche gli atleti, però, devono fare una scelta: provare a crederci al cento per cento, dare il massimo per alcune stagioni e se le cose sono andate bene capire che vale la pena investire su questo sport che chiede tanto, altrimenti se non si prova fino in fondo ci si ritrova a galleggiare a metà. Se un atleta ha dato tutto ma non ce l’ha fatta, allora significa che non aveva le qualità per emergere ed è meglio che decida di smettere a 24 anni, quando le porte per una vita fuori o parallela allo sport sono ancora aperte. Nella situazione attuale il mio invito agli atleti è di crederci, provarci al 100% per cinque anni e tirare le somme. Se un atleta ha le giuste qualità e si è impegnato al massimo, allora sarà già in nazionale e correrà in Coppa del Mondo in maniera stabile, altrimenti significa che non ha le qualità. Invece se non ha dato tutto, non può recriminare dicendo di non aver avuto possibilità perché per quanto mi riguarda è meglio avere dieci atleti che ci provano davvero anziché molti di più che tirano a campare».  

Torniamo agli obiettivi stagionali: nel prossimo marzo sarà soddisfatto se?
«Se i nostri atleti migliori si saranno confermati ancora e coloro che hanno le qualità per fare meglio l'avranno fatto. Bisogna partire dal livello avuto nelle ultime stagioni e migliorare. Certo per Federico è più difficile rispetto ad alti, visti i grandi risultati che ha sempre ottenuto ma ovviamente faremo di tutto per metterlo nelle condizioni migliori per riuscirci. Agli altri chiederemo di avvicinarsi a lui, di migliorare i risultati ottenuti in passato in Coppa del Mondo, di abbassare i punti FIS per farci migliorare nel ranking mondiale. Dovremo porre l’asticella sempre al punto giusto a seconda delle possibilità di ogni singolo atleta per non creare illusioni e di conseguenza delusioni».

Giorgio Capodaglio

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