Sport vari | 01 aprile 2019, 07:00

Per gli eSports un futuro a cinque cerchi?

Su questa materia il CIO, Comitato Olimpico Internazionale, dovrà pronunciarsi in occasione di Tokyo 2020

Per gli eSports un futuro a cinque cerchi?

Chissà se fra qualche anno nel palinsesto delle scommesse su NetBet ci sarà spazio anche per gli eSports invernali: gare di fondo o biathlon, con le ciaspole o di freestyle…

Nel frattempo potrebbero fare il loro ingresso tra le discipline olimpiche. Su questa materia il CIO, Comitato Olimpico Internazionale, dovrà pronunciarsi in occasione di Tokyo 2020 e, scattasse il semaforo verde, toccherà alla ville lumière, vale a dire Parigi, fare da sfondo alle prime medaglie d’oro, d’argento, di bronzo negli eSports.

Senza mai scordare il motto che l’importante è partecipare.

Adesso di sicuro gli eSports rappresentano un fenomeno che non può essere ignorato, né dalla politica sportiva, tanto meno dai principali operatori del betting.

Ma cosa intendiamo per eSports?

Per farla semplice potremmo rispondere così alla domanda: giocare con i videogame a livello professionistico. Insomma, non è sufficiente trascorrere qualche ora del nostro tempo libero davanti a un computer oppure a una console per raccontare agli amici di fare eSports (termine derivato dall’espressione inglese electronic sports).

Le tracce iniziali di questa pratica risalgono a oltre mezzo secolo fa. Siamo agli inizi degli anni Sessanta quando al MIT, il prestigioso Massachusetts Institute of Technology, per intenderci l’università dov’è ambientato il film “Will Hunting”, prende vita “Spacewar!”. Non si tratta del primo videogame in assoluto, esistono già un paio di altri titoli, ma del primo le cui dinamiche prevedono un testa a testa fra due persone.

Il successo, nonostante alcune difficoltà iniziali che renderanno necessaria l’invenzione del joystick, è immediato, tanto che qualche anno più tardi l’università di Stanford organizza il primo torneo di “Spacewar!”. Fa sorridere oggigiorno sapere che 24 giocatori si sfidarono all’ultima astronave per vincere un abbonamento annuale alla rivista Rolling Stone.

Ma il boom vero e proprio arrivò nei primissimi anni Ottanta. Fu allora che l’Atari, dopo aver commercializzato “Space Invaders”, organizzò un campionato per incoronare il miglior videogamer degli Stati Uniti d’America.

A differenza di quanto avvenuto in “Spacewar!”, però, stavolta avrebbe alzato le braccia al cielo quel concorrente capace di totalizzare il punteggio in assoluto più elevato.

Nella Grande Mela, vale a dire New York, si ritrovarono oltre diecimila concorrenti…

Numeri questi ultimi che tendono comunque a impallidire se confrontati con quelli di oggigiorno.

Secondo una ricerca firmata NewZoo, nel corso del 2017 sarebbero stati 3,3 milioni gli italiani impegnati in quelli che possiamo definire a tutti gli effetti titoli di eSports. 

Non è tutto. Un rapporto presentato nell’estate del 2018 da AESVI (l’Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani) e dalla Nielsen racconta di circa 260.000 persone che quotidianamente nel nostro Paese seguono gli eSports (un terzo dei quali affermano che in futuro assisteranno perfino a un evento dal vivo), mentre quelli che lo fanno più volte alla settimana hanno ormai toccato quota 1 milione di individui.

Eccolo il ritratto dell’avid fan italiano degli eSports: maschio (nel 62% dei casi), con un’educazione scolastica di tipo medio oppure alta, un’età compresa fra i 16 e i 30 anni (nel 52% dei casi).

Ti potrebbero interessare anche: