Biathlon - 14 marzo 2020, 19:10

Biathlon - Dorothea Wierer, simbolo empatico di un'Italia che vuole e che sa vincere

Da ragazzina di grandi speranze a donna vincente. Insicurezza ed empatia i cardini su cui ha costruito una personalità forte e una carriera da leggenda del biathlon. Poche come lei, nella storia: Dorothea è simbolo di un'Italia che vuole e che sa vincere.

Dorothea Wierer - Foto IBU

Dorothea Wierer - Foto IBU

Dorothea Wierer è il simbolo dell'Italia che vuole vincere e che sa vincere. Dorothea Wierer è stata una ragazzina di grandi speranze, ora è una donna vincente. Una donna consapevole, che come lei stessa confessa, si confronta quotidianamente con i dubbi; come tutti d'altronde.

Non ha mai nascosto la sua insicurezza di fondo. Ma su questa caratteristica ha costruito una carriera che anno dopo anno ha assunto contorni sempre più leggendari, fino alla conquista della seconda Coppa del Mondo generale consecutiva. Cosa per poche, pochissime; basti dire che prima di lei, l'ultima era stata Magdalena Forsberg con i sei successi consecutivi tra il 1997 ed il 2002, quindi la russa Anfisa Rezcova (1992-93) e l'altra svedese Eva Korpela (1986-87): un elenco ridottissimo in cui mancano nomi che hanno fatto la storia.

Ed insieme alle due coppe, sono arrivate anche tre titoli iridati, in tre diverse discipline, con il poker sfuggito solo per quell'errore di troppo nella mass start di Anterselva, chiusa con l'argento.

Ma più delle statistiche e dei numeri, a rendere importante la figura di Dorothea Wierer nel contesto dello sport italiano sono l'empatia, la positività, la naturalezza che traspaiono dal suo vivere e dal suo vincere. Non è fatta per essere un personaggio, ha sempre detto - e sicuramente lo farà - che una volta chiusa la parentesi agonistica si dedicherà alla famiglia, nella tranquillità del quotidiano. Ma nel suo modo di essere ci sono tutti i crismi del personaggio vero, di quello che sa far innamorare un Paese se non addirittura l'intero Circo Bianco. Spontaneità, consapevolezza di quello che è e di quello che fa, capacità di saper interpretare il ruolo migliore, anche a parole, in pressochè ogni circostanza.

E' donna, è campionessa, è vincente: semplicemente Dorothea; unica nella sua specificità, unica nell'essere campionessa quando fino a pochi anni fa non pensava di poter essere atleta professionista.

Nel giro di una manciata di stagioni è cresciuta come donna di sport e come atleta ed ora siede al tavolo delle grandi. Avrà voglia di provare a farsi strada nell'Olimpo a Pechino? Lo deciderà lei, valuterà le motivazioni, a tempo debito. Ma nel frattempo ha saputo regalare un'altra pagina di grande sport al nostro Paese.

Il tutto al termine di una stagione "pesante", per dirla con parole sue. Iniziata come meglio non si poteva con le repentine vittorie nelle prime due sprint stagionali e poi proseguita ad alto ritmo fino ad Anterselva, con rari passaggi a vuoto, certificati dalla necessità, unica tra le big, di dover gettare al vento ben 35 punti di scarti. Ha preso il via a tutte le gare e non ha mai raccolto bottino inferiore ai 17 punti (24° posto). Un inno alla costanza, una regolarità ad alto livello che ha disinnescato le 7 vittorie di Tiril Eckhoff, capace di vincere tre gare in più ma alla resa dei conti costretta ad arrendersi per 7 punti. Doro ha vinto meno, ma ha vinto meglio: due ori mondiali, nella sua Anteselva. 

Dopo la vittoria della scorsa coppa del Mondo, la rassegna di casa doveva essere il clou della stagione. Non ha sbagliato praticamente nulla. Ma ha condito le 4 medaglie raccolte nel giardino di casa, con un secondo incantevole trofeo di cristallo.

Simbolo, leggenda, storica, miracolosa: si utilizzi il termine che si preferisce. Semplicemente, questa è Doro.

Luca Perenzoni

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