Biathlon - 02 aprile 2021, 13:40

Biathlon - Tommaso Giacomel sulla sua stagione: "Felice di aver fatto esperienza, ma mi sarei aspettato di fare meglio"

A Fondo Italia, l'azzurro delle Fiamme Gialle ha fatto un bilancio della sua stagione: "Hofer il nosto mentore, merita tutto ciò che ha ottenuto; la staffetta di Pokljuka mi ha fatto male, a Nove Mesto ero ancora arrabbiato"

Foto Manzoni/IBU

Foto Manzoni/IBU

Tra pochi giorni festeggerà il suo ventunesimo compleanno, ma ha già alle spalle praticamente una stagione intera in Coppa del Mondo. Una volta guarito dal covid, contratto nella fase conclusiva della preparazione, e tornato in buone condizioni fisiche, Tommaso Giacomel si è unito ai compagni di squadra ad Oberhof, in occasione della prima tappa del 2021. Da lì non se ne è più andato, vivendo anche l’esperienza del suo primo Mondiale.

Il trentino delle Fiamme Gialle, quattro volte a punti in stagione e capace di salire sul podio in staffetta, ha commentato a Fondo Italia questa sua prima annata in Coppa del Mondo. Lo avevamo sentito alla vigilia della tappa di Oberhof, quando ci aveva parlato del covid che l’aveva frenato e delle difficoltà avute in quel periodo, ma nel commentare la sua stagione, che a differenza di quanto avremmo immaginato non non l’ha soddisfatto fino in fondo, il primierotto non ha cercato alcuna scusante legata alla malattia, dando nuovamente l’impressione di un giovane determinato, che mette l’asticella sempre molto in alto.

Ciao Tommaso. Partiamo con un giudizio sulla tua stagione; sei soddisfatto di quanto hai fatto?
«No, mi sarei aspettato di andare meglio. Non posso essere contento di un buon inseguimento concluso nei primi trenta ed altre occasioni a punti. Certamente, è bello essere riuscito sempre a qualificarmi per l’inseguimento nonostante due o tre errori, una cosa non banale soprattutto per il livello maschile di quest’anno, che era estremo, come sottolineato dallo stesso Luki (Hofer, ndr) ad Östersund. Sono contento dell’esperienza che ho avuto l’opportunità di fare, ma non sono assolutamente contento di quanto ho raccolto».

Però, nel valutare la tua stagione, non si può prescindere dal covid che ti ha debilitato per un lungo periodo.
«Sicuramente ne tengo conto e sono convinto che mi abbia debilitato. Non saprò mai come sarei andato se non l’avessi preso. Ma non voglio usare il covid come un alibi, non è da me. Per come mi sono allenato e ho lavorato, mi sarei aspettato di raccogliere molto di più».

Cosa porti nel tuo bagaglio d’esperienza al termine di questa stagione?
«Ho imparato che in Coppa del Mondo non si può sbagliare nulla. Se commetti un errore perdi trenta posizioni. Rispetto allo scorso anno, io e Didier abbiamo fatto salto in avanti gigantesco e sono sicuro che saremo in grado di farne ancora un altro il prossimo anno. Se nella stagione appena conclusa con una gara super potevamo ambire anche alla top venti, sono sicuro che il prossimo anno, facendo tutto perfetto, potremmo fare meglio».

Per la prima volta hai vissuto anche la quotidianità della Coppa del Mondo, fatta anche di diverse settimane lontano da casa. Come ti sei trovato?
«Abbastanza bene, anche perché possiamo dormire di più la mattina (ride, ndr). Le gare e gli allenamenti sono quasi sempre di pomeriggio, il richiamo di forza possiamo farlo anche alle 11.00, quindi abbiamo l'opportunità di alzarci dal letto piuttosto comodamente. Certo, quest’anno è stato stressante per la storia dei tamponi. Come vi ha raccontato anche Luki, ne ha risentito la nostra quotidianità, pure il fisioterapista poteva perdere un’ora, potevamo tardare un massaggio. A volte noi atleti vorremmo solo riposarci e rilassarci dopo l’allenamento, invece ci toccava andare a fare il tampone. Insomma quell’aspetto è stato stressante. Poi si, stare tanto in giro è stancante se non sei abituato, così ad Östersund sono arrivato un po’ cotto. Ma mi è piaciuto un sacco viaggiare e vedere posti nuovi. Ovviamente la nostra vita era appartamento e pista. Quando ho fatto una corsa di allenamento per Östersund, ho visto che la città è bellissima, ma ovviamente non potevo fermarmi, giustamente non era consentito. Ne avrò occasione in futuro».

Hai già disputato diverse gare di Coppa del Mondo, ma ancora non hai avuto modo di gareggiare con il pubblico. Immagino sia una delle esperienze che più vorresti vivere nella prossima stagione.
«Sicuramente, anche perché così è abbastanza noioso. Sembra di essere in allenamento, non senti nulla al di fuori delle urla degli allenatori. Luki ha detto a me e Didier che alla prima gara con il pubblico ci porterà dei pannoloni (ride, ndr). Sono curioso di farle, sentire il calore che si respira nel biathlon di alto livello».

Hai già citato tante volte Lukas Hofer, che per voi è stato veramente importante. Ho visto te e Didier molto felici dopo la sua vittoria.
«Mi sembra il minimo, non potevamo fare altro che essere contentissimi per lui. Ci ha aiutato tantissimo, da quando lo abbiamo incontrato in squadra per la prima volta. Luki è stato il nostro mentore. Si merita tutto ciò che ha raccolto quest’anno perché ha lavorato veramente tanto. Io e Didier abbiamo l’onore di vedere un campione del genere al lavoro, ci ha insegnato tanto. Noi cerchiamo di stargli dietro il più possibile. Poi ovviamente non siamo tutti uguali, magari su alcune cose si hanno anche delle idee diverse, ma è importante seguirlo. Lo ritengo una risorsa enorme per il nostro biathlon. Andiamo molto d’accordo, ci troviamo molto bene io, lui e Dido (Bionaz, ndr). In estate siamo stati sempre assieme in ogni allenamento. È bello scambiare due parole con lui anche in appartamento, la differenza d’età nemmeno si sente perché ha trentunanni solo sulla carta d’identità, dentro è giovanissimo».

Passiamo al Mondiale di Pokljuka. Che esperienza è stata per te?
«Diciamo che senza pubblico, trovandoci isolati in appartamenti a due chilometri dallo stadio e scendendo a Bled solo per i tamponi, non si è respirato il clima mondiale, se non per la tuta azzurra anziché blu. In Slovenia sono arrivato in una condizione buona, nell’individuale non sono sono andato granché bene, ma la giornata più dura è stata per me quella della staffetta. Fino a quel giorno avevo sempre fatto bene in staffetta e lì ero anche riuscito a fare un’ottima serie a terra. Purtroppo nella serie in piedi non sono riuscito a mantenere i nervi saldi quando ho visto Johannes Bø andare via dalla piazzola. È stata una forte delusione, quel poligono mi è rimasto in mente fino a Nove Mesto. Lì ero ancora nervoso durante i primi allenamenti, ho dovuto dirlo a Klaus (Höllrigl, ndr) perché stavo per esplodere. Quella staffetta mi era rimasta dentro. Sono stato malissimo. Dido era andato benissimo, Luki volava ed avevamo degli sci impressionanti, buonissimi, grazie agli skiman che avevano fatto un lavoro incredibile. Stava andando tutto bene ed io ho rovinato tutto. Vero, anche Domi ha girato nella frazione successiva, ma ero io ad avere 50” sul gruppo di Ponsiluoma, Loginov e Desthieux, mi sono fatto recuperare. Se avessi fatto una serie decente, avrei cambiato al secondo posto. Magari avrei perso 20-30 secondi da Johannes nell’ultimo giro, ma sarei stato lì».

Puoi parlarci di quel poligono in piedi così come l’hai vissuto tu?
«A volte mi capita di dimenticare una serie appena finita la gara, ma quel poligono me lo ricordo benissimo, ce l’ho ancora stampato in testa. Mi stavo mettendo in posizione, quando ho sentito Johannes Bø completare la sua serie con uno zero. Lì mi sono detto che avrei dovuto perdere il meno possibile. È stato il pensiero sbagliato perché ho pensato solo a quei cinque cerchi neri anziché fare il mio lavoro. Gli errori sono stati tutti alti, non sono sceso abbastanza. Ovviamente se tornassi indietro avrei un atteggiamento diverso, più controllato. Ho imparato la lezione. Se in futuro mi ritrovassi nella stessa situazione, la affronterei in un'altra maniera».

Cosa ti hanno detto i compagni?
«Io ero arrabbiato. Luki e Dido mi hanno subito detto che queste cose succedono. Sicuramente erano però dispiaciuti e delusi anche loro, perché sanno che solitamente sparo meglio in piedi che a terra. Quindi una volta superata velocemente la serie a terra, avranno pensato che saremmo andati via tranquilli. Invece ho rovinato tutto. Ho detto loro che mi dispiaceva. In ogni caso sono consapevole che non serve a nulla piangersi addosso, ma solo imparare dai propri errori».

Effettivamente per tutta la stagione hai sparato meglio in piedi che a terra. Come te lo spieghi?
«Sinceramente non saprei spiegarlo. Credo sia una cosa soprattutto mentale, ma a volte anche tecnica. In allenamento faccio spesso delle serie a terra bellissime, poi improvvisamente ne tiro fuori due da principiante. Questa cosa mi infastidisce, in quanto il tiro a terra è la base su cui costruire una buona gara. In una mass start o nell’inseguimento, se manchi due bersagli a terra perdi già tanto. Dovrò lavorarci tanto in estate. Magari apporterò anche qualche modifica al fucile, facendomi aiutare da Luki che è un bravo artigiano. Per quanto riguarda il tiro in piedi, mi ha sempre stimolato di più, lo approccio proprio in maniera diversa. È una cosa che sento più mia».

Qual è l’atleta che più ti ha impressionato quest’anno?

«Sicuramente Lægreid. Ho avuto una lunga video chiamata con Jorgen Krogsaeter a gennaio, atleta che ho conosciuto nelle gare giovanili. In quell’occasione abbiamo parlato di Lægreid e mi diceva che è sempre stato un grande tiratore, ma lui stesso è stato colpito dai suoi progressi. Insomma giù il cappello per quanto ha fatto. Sembra un atleta che non sente mai la pressione».

Al di fuori delle competizioni hai avuto l’opportunità di conoscere meglio alcuni avversari?
«Si. Ho conosciuto i francesi Guigonnat e Jacquelin, che parlano anche un po’ di italiano, soprattutto il primo. Antonin ha anche il mio stesso calciolo, quindi a volte ci siamo trovati pure a parlare di quello. Ho anche scambiato diverse chiacchiere con lo stesso Sturla Lægreid, che conosco da un po’. Nel 2019 mi portò anche delle cinghie a Sjusjøen».

Ora ti prenderai una pausa per poi iniziare la preparazione. Che effetto ti fa pensare di preparare la stagione olimpica?
«In realtà non mi sono ancora fermato. Continuerò ad allenarmi ancora molto fino alla prossima settimana quando farò poi il vaccino. Da lì mi fermerò circa due settimane per riposare. Per quanto riguarda la stagione olimpica, la preparerò come si fa con una stagione normale, in quanto alla fine i Giochi cadono nel periodo in cui solitamente abbiamo i Mondiali. Non penserò molto alle Olimpiadi, anche perché tanto mi allenerei al cento per cento in ogni caso, pure se dovessi disputare la gara del paese. Inoltre credo sia molto più importante essere costanti tutta la stagione, piuttosto che avere un guizzo lì. Magari fai la medaglia e ti ricordano tutti, ma la gente dovrebbe ricordarsi soprattutto di coloro che sono costanti e magari vincono Coppa del Mondo. Quest’anno si è detto tante volte che Johannes Bø non ha vinto medaglie d'oro individuali a Pokljuka e non ha dominato come ci si sarebbe aspettati alla vigilia, ma nessuno parla della costanza che ha avuto nel corso di tutta la sua stagione. Il suo peggior risultato è stato un undicesimo posto».

Sai però che nell’anno olimpico tanti guarderanno alla vostra staffetta dopo i miglioramenti avuti quest’anno.
«Sono convinto che saremo ancora più competitivi. Su questo non ho dubbi».

Al termine della stagione hai dei ringraziamenti?
«Certamente voglio ringraziare tutti i miei compagni e le compagne di squadra, gli allenatori, skiman e fisioterapisti che hanno lavoranto tantissimo durante tutta la stagione. Personalmente ho avuto un grande supporto dalla mia famiglia e dal mio corpo sportivo, le Fiamme Gialle».

Giorgio Capodaglio

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