Sci di fondo | 14 aprile 2022, 18:11

L'INTERVISTA - Elisa Brocard: "Lo sci di fondo mi ha dato tanto, ora voglio restituirgli qualcosa"

L'INTERVISTA - Elisa Brocard: "Lo sci di fondo mi ha dato tanto, ora voglio restituirgli qualcosa"

Da poco meno di due settimane, Elisa Brocard ha messo fine alla sua lunga carriera di atleta. La trentasettenne del Centro Sportivo Esercito ha chiuso con i Campionati Italiani di Dobbiaco e un’emozionante festa alla quale hanno preso parte tutte le colleghe, dalle sue ex compagne di squadra alle giovani che hanno visto in lei un esempio da seguire o una fonte di buoni consigli, ma anche tecnici, sponsor e vertici dello stesso Centro Sportivo Esercito, con un emozionato Patrick Farcoz, comandante del centro sportivo di Courmayeur.

L’alpina valdostana è tornata sulle forti emozioni del suo addio, ma soprattutto ha ripercorso la sua carriera in questa lunga intervista che ha rilasciato a Fondo Italia, nella quale ha dato anche consigli alle giovani azzurre, che hanno vissuto una stagione complicata.

Ciao Elisa. Puoi raccontarci come è stata questa ultima stagione della tua lunga carriera?
«Ho preso la decisione di mettere fine alla mia carriera agonistica già un anno fa, perché ero abbastanza stanca alla fine della stagione. Insieme al Centro Sportivo Esercito, abbiamo fatto però la scelta di proseguire un altro anno perché erano alle porte le Olimpiadi di Pechino.
Personalmente, sognavo la mia quarta Olimpiade e, anche se sapevo che sarebbe stato difficile guadagnarsi la convocazione, avevo deciso di provarci. Devo ammettere che ogni tanto, nel corso della preparazione, mi capitava di pensare che sarebbe stata l’ultima volta in raduno in un determinato posto, oppure l’ultimo allenamento sugli skiroll ed altro. Poi, una volta terminata la preparazione, con l’inizio della stagione invernale, il focus era soltanto sulle Olimpiadi, non pensavo troppo alla fine della mia carriera. Fino a gennaio è andata così, visto che ho sperato fino all’ultimo di meritarmi la convocazione per Pechino. Una volta sfumato questo obiettivo, dopo gennaio è come se fosse iniziata per me un’altra stagione. Da lì in poi, ho pensato a godermi gli ultimi mesi di carriera, dandomi in premio alcune gare alle quali avevo sempre sognato di partecipare, come Marcialonga, Dobbiaco-Cortina, Transjurassienne, Birkebeinerrennet ed Engadina, che però avevo già disputato una volta. La Vasaloppet, invece, l’avevo già fatta lo scorso anno. Devo dire che questi mesi finali sono stati belli, anche se con qualche alto e basso, in quanto avvicinandosi il momento dell’addio, sono aumentati i pensieri sul futuro, i classici dubbi su cosa avrei fatto una volta che tutto questo fosse finito. A Dobbiaco, però, sono riuscita davvero a godermi la festa, sono stata serena, anche perché ho ricevuti numerosi messaggi di stima da parte di tante persone, e questo mi ha reso orgogliosa. Porterò sempre nel cuore questi momenti»
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Hai già deciso cosa farai in futuro?
«Ovviamente ne sto parlando bene con il Centro Sportivo Esercito. Non voglio lasciare l’ambiente e questo sport, mi piacerebbe continuare magari in un altro ruolo, riprendere i libri, nonostante abbia già le qualifiche da istruttrice nazionale, per rispolverare un po’ di cose e aggiornarmi. Ho appena avuto un primo aggiornamento istruttori a Livigno, poi farò quello da allenatore. Vorrei dare qualcosa al fondo, perché questo sport mi ha dato tanto e mi sento in dovere di dargli qualcosa indietro. Sono praticamente vent’anni che sono nell’Esercito, ho fatto questa vita bellissima da atleta in cui ho pensato a me stessa, come fa ogni atleta, ma ora devo aprire i miei orizzonti e prendermi delle responsabilità diverse verso qualcun altro».

In un’intervista a noi rilasciata, Greta Laurent ti ha augurato di raggiungere i tuoi obiettivi magari alla guida di qualche atleta.
«Ringrazio Greta per questo augurio. Credo che un tecnico, soprattutto a livello giovanile, debba pensare innanzitutto alla crescita dell’atleta, il risultato è poi la ciliegina sulla torta. La cosa importante è dare determinate basi all’atleta, che possano permettergli di superare gli ostacoli che inevitabilmente dovrà affrontare nel corso della sua carriera, come anche nella vita. Insomma, vorrei aiutare i giovani a farsi le ossa per affrontare al meglio le avversità, essere pronti di fronte alle situazioni difficili che troveranno».

Tornassi indietro, cambieresti qualcosa della tua carriera o sei felice così, senza alcun rimpianto?
«È difficile dirlo a posteriori, in quanto un atleta fa determinate scelte nel corso della sua carriera perché reputa che in quel momento siano la soluzione migliore. Certo, a volte mi sono detta che magari sarebbe stato meglio puntare a una gara anziché un’altra, ma cose piccole. Non ho grandi rimpianti, forse ne ho soltanto uno, che ho avuto per un periodo».

Quale?
«Dopo le Olimpiadi di Vancouver, avevo quella mezza idea di passare al biathlon e questa tentazione è sempre rimasta lì, ma più passavano gli anni e meno era fattibile. Già sembrava tardi allora che avevo 26 anni. Quello è forse l’unico piccolo rimpianto, perché lo skating è la tecnica nella quale mi esprimo meglio, avevo fatto alcune gare militari, imparando il minimo per sparare. Certo, non avendo praticato biathlon già da bambina, sapevo che sarebbe stato difficile e avrei dovuto sacrificare almeno due anni, come accaduto ad altre fondiste poi passate a questa disciplina. Insomma mi è rimasta la curiosità di come sarebbe stato, il piccolo rimpianto di non averci provato. Ma poi, pensandoci bene, anche la tecnica classica mi piace tanto, perché pure se vado meno forte, è la tecnica del fondista per eccellenza».

C’è un momento che consideri spartiacque della tua carriera, oppure un momento in cui hai seriamente pensato di smettere?
In realtà ho pensato varie volte di smettere. Io mi ricordo già un’intervista che feci quando mi qualificai per Vancouver, nella quale ringraziavo Albarello, che ai tempi era il direttore tecnico nell’Esercito. Io avevo sofferto tanto il passaggio da juniores a senior, non avevo ottenuto risultati e avevo vissuto stagioni difficili, pensando di smettere. Allora Albarello mi invitò a tenere duro perché il vero fondista viene fuori andando avanti con gli anni, consigliandomi di non fermarmi, perché poi qualcosa avrebbe potuto cambiare. In effetti, sono poi riuscita ad andare alle Olimpiadi del 2010. Di questo devo anche ringraziare il Centro Sportivo Esercito, perché non so se in un altro corpo sportivo mi avrebbero consentito di andare avanti dopo alcune stagioni non brillanti. Per questo sarò sempre grata al CS Esercito, visto che poi sono riuscita addirittura a partecipare tre volte alle Olimpiadi».

Anche nella stagione 2015/16 sembravi vicina al passo d’addio.
«Anche in quel caso devo ringraziare il CS Esercito e in particolare Simone Paredi, che aveva iniziato ad allenarmi proprio quell’anno. Anche allora era un periodo difficile e avevo voglia di smettere. A inizio stagione cercai di qualificarmi per la Coppa del Mondo, ma le cose non andarono benissimo. Lui, da esperto di grandi distanze, ebbe così l’idea di farmi partecipare alla Marathon Cup, così ci dirottammo su quelle gare. In accordo con l’Esercito, mi appoggiavo su un team francese che mi seguiva per la preparazione degli sci e gli spostamenti. Quell’anno si rivelò un’autentica boccata d’aria, feci tante nuove esperienze, vidi gente diversa, scoprii nuove tipologie di allenamento. Quella stagione mi rivitalizzò, mi ripresi mentalmente e si vide poi l’anno dopo, quando mi qualificai per i Mondiali di Lahti, aprendo la serie di stagioni positive, le migliori della mia carriera, vissute insieme a Simone (Paredi, ndr)».

Quell’anno ti saresti mai aspettata che due stagioni dopo avresti preso parte alla terza Olimpiade e addirittura tre anni dopo saresti giunta nella top ten in una gara iridata?
«No, perché all’inizio della stagione 2015/16, mi sembrava di essere entrata nella fase discendente della mia carriera. Allora avevo già più di trent’anni, quindi non avrei immaginato di poter ottenere ancora certi risultati, soprattutto in una sprint mondiale, come accaduto a Seefeld. Vero, molti ricorderanno che nei primi anni in squadra nazionale ero nel gruppo sprint, ma mi ero trovata lì perché in quegli anni c’era poco spazio nelle gare distance (ride, ndr). Ricordo che facevo parte della squadra con Genuin e Moroder, anche se alla fine sapevo difendermi bene anche nelle distance. Comunque tornando alla stagione 2018/19, oltre alla top ten nella sprint dei Mondiali, arrivò anche la mia prima top ten in Coppa del Mondo, a Davos e feci bene pure a Beitostølen. Ma vado orgogliosa anche del 13° posto alle Olimpiadi di Sochi, nella 30 km del 2014, e del 13° posto ottenuto a Meraker nello Ski Tour del 2020».

Qual è il ricordo più bello della tua carriera?

«Questa è una domanda davvero difficile, perché la mia carriera è stata lunga (ride, ndr). Diciamo che, sportivamente parlando, il più bello è legato alla prima convocazione olimpica, perché era sempre stato il mio sogno. Riuscire ad andarci, poi in Canada, dall’altra parte del mondo, fu qualcosa di unico. Per altro è stata anche l’unica cerimonia d’apertura a cui ho assistito e avevamo anche Giorgio Di Centa come portabandiera. Poi era presente lì la mia famiglia, che mi aveva seguito anche in Canada. A questa esperienza aggiungo anche Seefeld, in quanto ottenni quel decimo posto mondiale e anche allora con la mia famiglia presente.
Ma ci sono anche tanti momenti belli non legati ai risultati, perché sono legati alle esperienze, le conoscenze, i rapporti che si sono creati con tante persone, amici e amiche che ho avuto la fortuna di conoscere negli anni e con cui tengo ancora contatti. È bello che, seppur lontani, sappiamo di aver condiviso una parte della vita assieme. Mi sento ancora con Silvia Rupil, Virginia De Martin, con la stessa Magda Genuin, poi Martina Vignaroli, anche se viviamo lontane, Anna Rosa che ora rivedo in un’altra veste, oppure Alessandra Rigamonti, anche lei qui con un altro ruolo. Poi c’è Ilaria Debertolis e tante altre persone incontrate lungo il percorso, con cui sono rimasta a contatto anche dopo che hanno smesso. Senza dimenticare Greta, Lucia e tutte le atlete che sono ancora attive e con le quali sono convinta ci sentiremo e vedremo ancora anche adesso che a smettere sono io»
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Per quanto riguarda il momento più brutto?
«L’esclusione olimpica di quest’anno è la delusione più viva, ultima e fresca, anche se oggi mi sembra quasi passata un’eternità. Ci sono rimasta abbastanza male, perché pensavo davvero di potermi meritare la convocazione. Ovviamente ci sono stati anche altri momenti difficili, soprattutto legati ad alcuni infortuni, ma fortunatamente non ho mai avuto problemi così gravi. Ecco, mentalmente patii molto l’incidente in allenamento dell’estate 2019, che mi costò un trauma facciale ed altri problemi».

Chi è la persona più importante della tua carriera?

«Sicuramente Eric (Benedetto, ndr), soprattutto quest’anno. Mi è sempre stato vicino, in particolare dopo la delusione olimpica, perché è stato lui a cercare di tenermi su di morale e gli devo tanto. Oltre a essere il mio compagno, è lui a curarmi la parte della preparazione fisica e inoltre mi allenavo anche sotto la sua supervisione quando ero a casa. Per fortuna Eric è istruttore e allenatore, mi ha dato consigli preziosi, feedback, facendo quelle osservazioni capaci di darmi quel qualcosa in più, aiutandomi a capire dove focalizzarmi e su cosa migliorarmi, ma anche motivarmi, perché non sempre si ha l’entusiasmo e la voglia di allenarsi. A volte poi servono anche le discussioni, come anche con l’allenatore, perché è giusto ci siano confronti. Per esempio, Simone Paredi mi è subito piaciuto per questo, perché è un allenatore aperto ad ascoltare l’atleta, ma allo stesso tempo non per forza gli dà poi ragione. Lui si confronta, capisce le richieste dell’atleta, e se possibile le adatta a quello che è il suo metodo e l’obiettivo dopo averne discusso assieme».

Per alcune delle giovani azzurre non è stata una stagione semplice. Sono anche arrivate critiche pesanti dopo la gara di Holmenkollen. Cosa vuoi consigliare loro?
«Innanzitutto di avere ben chiaro dove vogliono arrivare, focalizzare un obiettivo, anche se non è sempre facile. Se un’atleta ha l’obiettivo ben centrato, allora diventa più facile vedere la strada, anche nei momenti di difficoltà si sa meglio dove andare. Ci sono sempre momenti difficili, l’importante è non farsi abbattere da essi e dagli altri. Si sa, capita spesso che altre persone giudichino e magari cerchino di renderti più difficile la strada, accade così dappertutto. Allora è fondamentale restare focalizzati sul proprio obiettivo, senza fare paragoni e guardarsi intorno, ma cercando di fare sempre il meglio in ogni situazione e lavorare sodo, tanto, essere convinti, cercare sempre di migliorarsi, provare quel dettaglio in più, ma fare un passo alla volta senza pretendere che arrivi tutto insieme. Su questo Federico Pellegrino insegna tanto, lui è sempre stato molto attento. Ricordo molto bene quando veniva le prime volte in Coppa del Mondo e c’era ancora Arianna Follis. Lui era attentissimo a ciò che faceva lei, la guardava, la seguiva, lo vedevi che studiava gli altri atleti e cercava di trarne insegnamento. Un atleta può allenarsi al massimo, ma deve soprattutto trovare dentro di sé questa grande voglia di arrivare che Chicco ha sempre avuto».

In conclusione chi vuoi ringraziare?
«Sicuramente ribadisco il mio grazie al Centro Sportivo Esercito, a tutti gli sponsor che ho avuto la fortuna di avere in questi anni, sia chi c’è stato prima sia chi ho avuto dopo. Ho già ringraziato tutti loro personalmente ma ci tengo a farlo anche pubblicamente, perché sono preziosi per noi atleti. Senza di essi, così come dei corpi militari, non potremmo andare avanti. Inoltre ringrazio gli allenatori che ho avuto, ma anche i tecnici, perché senza gli skiman non avrei mai avuto sci performanti. Loro fanno tanti sacrifici per noi, passano intere giornate negli skiroom, ed io lo so bene, avendo mio zio lì da anni, so quanto impegno ci mettono. Non sempre le cose vanno bene, ma è giusto che noi atleti rispettiamo il loro lavoro come loro stessi fanno con il nostro. Così come dico grazie a tutti i fisioterapisti, i medici, gli organizzatori e anche voi giornalisti, perché in questi anni ho avuto la fortuna di conoscere persone corrette e sincere nel modo di riportare ciò che avevo da raccontare. Tutte queste figure sono preziose nella nostra carriera»

Giorgio Capodaglio

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