Biathlon | 02 settembre 2022, 18:25

La testimonianza di Blashko: "Ho rischiato di morire più volte e lasciata l'Ucraina stavo male ad ogni elicottero o aereo che passava; non riuscivo ad allenarmi"

La testimonianza di Blashko: "Ho rischiato di morire più volte e lasciata l'Ucraina stavo male ad ogni elicottero o aereo che passava; non riuscivo ad allenarmi"

È stata ottima protagonista ai Campionati Mondiali Estivi di Ruhpolding, confermandosi molto precisa al tiro, e sabato sarà anche al via del Martin Fourcade Nordic Festival. Come usuale per ogni biatleta, Darya Blashko ha iniziato a indossare il pettorale già in estate per preparare la stagione invernale. Il resto è fatto da allenamenti e raduno, come sempre, ma è cambiato ciò che l’atleta bielorussa che gareggia per la nazionale ucraina porta dentro di sé, quello che ha vissuto e ha anche mostrato agli altri, con quei post pubblicati con grande coraggio durante i primi giorni dell’invasione russa nel paese che l’ha praticamente adottata, l’Ucraina.

Blashko ha vissuto giorni da incubo, quando era grande la paura di morire e il rumore dei colpi che sentiva non erano quelli della carabina in un poligono di tiro della Coppa del Mondo di biathlon, ma i boati delle bombe e dei missili che andavano a colpire la sua Chernihiv, dove ha vissuto e si è allenata dopo aver lasciato la sua Bielorussia per gareggiare con la squadra ucraina. Il bersaglio non era quello nero da chiudere nel minor tempo possibile, ma lei stessa e le altre persone che come lei si trovavano sotto quelle bombe.

Il dolore di quanto vissuto lo scorso marzo è ben presente negli occhi dell’atleta, quando la fermo dopo l’ultima gara dei Campionati Mondiali Estivi di Ruhpolding. A dir la verità, io per primo sono in difficoltà nel chiederle un’intervista per farle raccontare la sua esperienza. E se volesse mettere tutto da parte, fingere di dimenticare e distrarsi con il biathlon? La paura di disturbarla e infastidirla anche con una semplice domanda è tanta, Invece, dall’altra parte, nonostante la timidezza (quella è nel suo carattere da sempre, ndr), Blashko non esita, ha voglia di parlare, di raccontare al mondo cosa sta accadendo in quella nazione che l’ha aiutata a realizzare il suo sogno sportivo e professionale, ma dove ha anche rischiato più volte di perdere la vita, come da lei stessa testimoniato attraverso i video postati sui suoi social e rilanciati anche da alcuni suoi colleghi, mentre lei viveva per alcuni giorni in uno scantinato, pensando soltanto a sopravvivere.

«Ho registrato e pubblicato quei video perché tante persone non sapevano costa stesse accadendo in Ucraina – mi dice – in particolare nei primi giorni della guerra. Anche per noi era tutto così strano, non potevamo credere ai nostri occhi, che tutto ciò stesse accadendo nel ventunesimo secolo. Alla fine siamo stati costretti a crederci, lo abbiamo fatto sulla nostra pelle e ci siamo resi conto di essere in costante pericolo. Allora ho iniziato a pubblicare quanto stava accadendo, perché io stessa avevo seriamente rischiato di morire almeno quattro o cinque volte. È stato davvero difficile (sta per continuare, poi si ferma)».

La guardo, cerco anche di essere empatico, ma è difficile farlo quando si parla di una situazione che non ho nemmeno mai lontanamente immaginato di poter vivere nella mia vita. Come la maggior parte di chi vive oggi in Europa, anche chi scrive ha vissuto la guerra solo attraverso il racconto dei nonni, tanti libri e la tv, che però troppo spesso propone contenuti che perdono quasi di drammaticità, nel contesto di questi tempi moderni nei quali siamo sommersi dalle immagini al punto da far fatica a distinguere la realtà dalla finzione.
«Ma anche a noi sembrava di essere in un film – mi dice quando le faccio notare questa mia difficoltà – non avremmo mai immaginato nella nostra vita di vivere una situazione del genere. Purtroppo, però, quelle bombe erano reali e le nostre vite erano davvero in pericolo. Dovevamo veramente scappare da quel posto perché potevamo morire da un minuto all’altro».

Blashko è quindi riuscita a lasciare il paese raggiungendo l’Europa, trovando ospitalità a Pokljuka, in Slovenia: «Ci tengo a ringraziare la federazione slovena per avermi aiutato tantissimo in questa situazione. Grazie a loro ho ripreso ad allenarmi, spesso da sola, altre volte con i miei compagni di squadra quando sono qui in centro Europa. Purtroppo dopo Ruhpolding, loro sono tornati in patria. Io resto in Europa, perché la località dove vivevo è stata pesantemente danneggiata, quindi è impossibile tornare».

L’atleta della nazionale ucraina però ha fatto fatica a tornare alla normalità. Come è possibile allenarsi come se nulla fosse, mentre nel paese dove vivevi fino a ieri continuano a cadere le bombe? «È difficile, perché sai che mentre sei qui, in Ucraina c’è sempre la guerra e continua quell’orribile situazione. Vorremmo aiutare, ma in certe occasioni non basta la volontà. Possiamo solo desiderare che la situazione cambi, che questa guerra finisca il prima possibile, ma purtroppo vediamo che non accade».

A Ruhpolding, ero in appartamento con un collega ucraino che per la prima volta abbandonava il paese dallo scoppio della guerra. Ogni volta che sentiva passare un aereo o veniva sorpreso da un rumore improvviso si fermava e andava in ansia. Anche in questo caso, una reazione difficile da comprendere per chi non si è mai trovato in certe situazioni. Quando lo riferisco a Blashko, l'atleta annuisce e si apre descrivendoci le sue sensazioni: «I primi giorni in Europa sono stati abbastanza strani, perché per la prima volta non c'erano allarmi nel corso della notte. Eppure, ogni volta che sentivo il rumore di un elicottero o un aereo, a quel punto cominciavo a innervosirmi ed avere ansia. Ciò è accaduto tante volte nel primo mese. Non sono riuscita ad allenarmi per i primi trenta o quaranta giorni. Era impossibile per me farlo, a causa di quello che stavo provando. Ho iniziato anche a pensare di fermare la mia carriera, non sapevo cosa sarebbe accaduto, non riuscivo a fare nulla».

Fortunatamente, con il tempo questa fase è passata, Blashko è tornata ad allenarsi e vivere la sua quotidianità da atleta, per quanto le è possibile. Lei che vive una situazione quasi unica, in quanto ha rischiato di morire sotto le bombe lanciate dalla nazione in cui è nata, la Bielorussia. «Personalmente è una situazione molto particolare, così come è strana tutta la vicenda, in quanto tanta gente in Bielorussia non supporta questa guerra, ma allo stesso tempo vediamo che le bombe e i missili che colpiscono l’Ucraina arrivano proprio dai territori bielorussi. È qualcosa davvero difficile da comprendere perché lo sta facendo, non è la guerra della Bielorussia, ma lo fa perché così pensa di stare al sicuro dalla Russia, in quanto è un paese davvero molto piccolo e la Russia potrebbe sconfiggerla in appena tre giorni».

Accenna anche un sorriso Darya mentre chiude la sua testimonianza. Spegniamo il registratore, la ringraziamo e lei ricomincia a parlare, a sottolineare quanto sia importante documentare quanto sta accadendo in Ucraina, ma soprattutto che l’Europa non abbandoni il paese che l’ha sportivamente adottata e al quale è oggi molto legata. Blashko ha tanta voglia di confrontarsi e raccontare la sua storia, pur rivivendo nei suoi occhi sofferenza e paura vissute in quegli orribili giorni.

Giorgio Capodaglio

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