Biathlon - 09 novembre 2022, 18:00

Biathlon - Con Giulio Gasparin entriamo nel mondo IBU e scopriamo i dietro le quinte della biathlon family

A poche settimane dal via della Coppa del Mondo, Giulio Gasparin, giornalista e storyteller per IBU, ma anche autore di un romanzo, ci ha fatto entrare nel mondo della biathlon family

Biathlon - Con Giulio Gasparin entriamo nel mondo IBU e scopriamo i dietro le quinte della biathlon family

Una grande famiglia. È questa l’impressione che si ha quando si entra in contatto con coloro che lavorano nell’IBU, l'International Biathlon Union, dai media al marketing, passando per gli altri uffici. Un gruppo unito e affiatato, formato da persone diverse per nazionalità, esperienze ed anche età, ma unite da tanta passione.
Si respira sempre un’aria fresca quando ci si trova in questa realtà, capace di consentire anche a noi media di svolgere al meglio il nostro lavoro, pure in anni difficili come gli ultimi, funestati dal covid.

Per viaggiare ancora meglio all’interno del mondo IBU, ci siamo rivolti a Giulio Gasparin, trentaduenne che non ha nessuna parentela con le sorelle della nazionale svizzera di biathlon, essendo lui friulano. In un weekend di gara lo si vede spesso in tv intervistare gli atleti che hanno vinto, oppure registrare l’intervista a chi ha ottenuto un piazzamento particolarmente importante. Ciò che non si vede è la passione con cui assiste ai primi poligoni di gara, soffrendo quasi ad ogni errore, ma soprattutto le sue corse a tutta velocità dalla zona poligono alla mixed zone per lavorare su IBU TV, oppure sui social o in altri servizi.

Giulio è una sorta di jolly. «Il mio ruolo sarebbe quello di storyteller, soprattutto legato a IBU TV, il canale che vedete su Youtube. Insieme a questo mi occupo comunque di tutto ciò che ha a che fare con giornalismo e social, presenti nel mio contratto. Il canale Youtube "IBU TV" è nato prima che arrivassi, con l’idea di mostrare il biathlon in maniera più social, diciamo che è stato creato in contemporanea al boom di Youtube. Dietro c’è una grande collaborazione con Eurovision per le immagini. Ciò che produciamo viene poi destinato anche ai nostri partner, a volte le tv estere usano le nostre clip per i propri filmati, ovviamente se hanno comprato i diritti per trasmettere il biathlon. Mettiamo anche a disposizione materiale già montato, se lo richiedono, ed effettuiamo interviste, soprattutto per le realtà più piccole che hanno meno accesso agli atleti. È un ambito comunque molto complesso, perché quando giriamo, lo facciamo sempre in maniera specifica, pensando alla piattaforma destinataria, se Youtube, facebook o altro».

Ma come dicevamo, il lavoro di Giulio non si riduce soltanto alla parte video: «Scrivo anche contenuti per il sito ufficiale dell’IBU e per la nostra newsletter, soprattutto in estate, mentre in inverno è più raro, anche se può capitare che faccia da supporto. Inoltre ho anche l’intervista flash post gara all'atleta vincitore.
L’IBU è una realtà in crescita. Ad esempio dalla passata stagione si è aggiunta un’altra collega, che sta facendo un ottimo lavoro sui social»
.
Gasparin ci ha spiegato che l’IBU ha quindi circa una decina di persone nel comparto comunicazione e ma non tutte prendono parte a ogni tappa: «C'è una parte del team che viaggia per tutta la stagione da una tappa all'altra, proprio come gli atleti. Altri possono lavorare da remoto grazie a nuove tecnologie che permettono lo scambio di dati in tempo reale, o quasi. Penso sia un bene perché, per quanto sia splendido e insostituibile il contatto umano con le persone con cui lavori, capisco anche l'impatto personale e ambientale di una stagione in viaggio. Stiamo raggiungendo nuovi equilibri anche in questo senso e mentre io sarò sempre presente sul campo, non tutti i miei colleghi faranno lo stesso. Ci aggiungiamo poi la copertura delle altre serie - IBU Cup e IBU Junior Cup - e capite la complessità di organizzare i calendari e le coperture».



Questo è per Giulio qualcosa più di un lavoro. Non a caso, ad Anterselva, nella passata stagione, lo abbiamo visto seguire con passione le gare, sembrando addirittura soffrire per atleti e atlete in difficoltà: «Penso sia una delle cose più belle e difficili allo stesso tempo. Devo dire che fa parte della mia personalità, tendo a essere abbastanza empatico, perché avendo avuto un passato da atleta, seppur in un altro sport e non ad alto livello, mi immedesimo molto nelle situazioni, specie di chi fa più fatica. Inoltre giriamo sempre insieme, un po’ come un circo, quindi si instaurano rapporti personali che vanno oltre il saluto. Il nostro è un ambiente molto bello, c’è tanta disponibilità da parte degli atleti e una grande consapevolezza del ruolo dell’IBU.
Poi per me è forse anche più facile essere apprezzato dagli atleti, io sono una sorta di poliziotto buono, lavorando per l’IBU e non per un giornale, una tv o un sito, difficilmente muovo critiche o cerco lo scoop, anche se anche noi cerchiamo di analizzare le difficoltà di un atleta. Ma il mio compito è principalmente quello di cercare storie.
Insomma, amo questo lavoro, ho fatto cinque anni consecutivi di Coppa del Mondo, lavorando a stretto contatto con gli atleti per quattro o cinque mesi l’anno, a volte anche in estate. Si è creato un rapporto di confidenza, anche se poi dall’altra parte, a volte devo anche fare una domanda scomoda perché è il mio lavoro. La mia impressione è che gli atleti siano persone molto mature e consapevoli della realtà che li circonda, quindi anche una domanda più scomoda non cambia i rapporti personali che si creano».




L’impressione parlando con Gasparin dell’IBU è che veramente ci si trovi di fronte a una “biathlon family”. «L’IBU ha fatto un ottimo lavoro di comunicazione con gli atleti, proprio per chiarire molte cose. C’è tanto dialogo tra atleti e federazione. Già il fatto che essi abbiano voce in capitolo, discutano nelle riunioni dell’executive board, abbiano un ruolo, fa comprendere che si tratta davvero di una biathlon family. Devo ammettere che anche a me questo slogan faceva un effetto strano prima di entrare in questo ambiente, credevo fosse di facciata, invece ho subito avuto la sensazione di fare parte di una famiglia. Si creano amicizie e dove ciò non accade, perché dopotutto siamo e sono persone, c’è comunque grande rispetto. Dopo le gare, è sempre bello vedere atlete o atleti parlare tra loro, ancora sudatissimi, interessarsi alla gara dell'altro. C’è senso di comunità, forse dovuto allo sport stesso. Anche in una mass start, nella quale la gara è sull’uomo, alla fine l’ostacolo è sempre il poligono. Questo aiuta tanto a mantenere un rapporto. Inoltre nel biathlon non hai alibi, vero, puoi sbagliare gli sci o trovare vento, ma alla fine sei tu con il poligono. Ecco, vi faccio un esempio, conosco bene Alessia Trost, che mi ha raccontato come nel salto in alto, rispetto alle altre specialità dell’atletica leggera, vi sia un senso di grande comunità perché sei tu contro l’asticella, che è l’avversario di tutti. Nel momento in cui non stai saltando, viene da tifare per l’altro, perché la tua gara non la misuri in relazione a chi hai vicino ma a quello che devi fare tu».

Gasparin avrebbe una lunga lista di episodi per descriverci il senso di comunità nel biathlon: «Ricordo quando Lisa (Vittozzi) è tornata sul podio a Nove Mesto, dopo una stagione difficile, c’erano tante ragazze felici per lei, in particolare Hanna Öberg. A volte c’è un supporto che va oltre l’essere compagne di squadra, perché sono i protagonisti stessi a dispiacersi quando un campione o una campionessa sono in difficoltà, vogliono tutti al top.  
Poi ci sono episodi di amicizia, atleti che si aiutano e si consolano, come abbiamo visto tra Zobel e Perrot lo scorso anno ad Anterselva. Entrambi si trovavano in un contesto che fino a pochi mesi prima nemmeno immaginavano. Ma pensate anche a Tommaso Giacomel e Didier Bionaz, due ragazzi che sono cresciuti assieme e condividono tanto le gioie l’uno dell’altro. A volte questi legami possono crearsi anche per pura coincidenza, magari condividendo un momento importante.
Ovviamente si può anche discutere, accade pure nelle migliori famiglie, ma in quei casi ci sono dei leader che intervengono cercando subito di calmare le acque. Per esempio ricordo un episodio particolare a Östersund l’anno scorso, quando Tommy Giacomel e Seppala avevano avuto una discussione. Simon Eder era subito intervenuto a fare da paciere».




Vivendo quotidianamente a contatto con gli atleti, Gasparin ha tanti episodi da poter raccontare avendoli vissuti in prima persona. Gliene abbiamo chiesti alcuni nei quali è stato protagonista, per comprendere bene quanto gli atleti stessi siano legati a tutti coloro che lavorano nel loro ambiente per rendere sempre più appetibile il prodotto biathlon.
«Vi racconto un episodio che rappresenta anche una figuraccia che ho fatto ed è ancora oggi visibile sul web – ride Giulio – in occasione della serie venti su venti. Come anche tu hai visto a Ruhpolding durante il Mondiale Estivo, questo programma mi mette sempre molta tensione, perché lo faccio one shot, senza tagli, mentre cammino al fianco dell’atleta. L’episodio si riferisce a Nove Mesto, quando stavo intervistando Marketa Davidova e, non so cosa sia successo al mio cervello, l’ho improvvisamente chiamata Eva. Ovviamente non potevo tagliare, ma per fortuna ci ha pensato lei a togliermi dall’imbarazzo, scoppiando a ridere. Alla fine è stato un momento divertente.
Un altro episodio che mi ha fatto molto piacere è legato alla mia prima stagione nel biathlon. Dopo il preolimpico a Pyeongchang nel 2017, era inizialmente previsto di andare a Tyumen, invece all’ultimo si cambiò e si sarebbe disputata la tappa di Kontiolahti. Per tutti era stato un problema, non avevamo charter, ma alla fine molti erano riusciti a prenotare Seoul – Helsinki. Per me non c’era posto, così alla fine avevo prenotato un volo con scalo Doha per poi andare in Finlandia. Non avevo però la coincidenza nella stessa giornata, così avevo passato una giornata intera lì in Qatar andandomene al mare e pubblicando sui social le mie foto dalla spiaggia. Quando poi arrivai a Kontiolahti, mentre camminavo mi arrivò una palla di neve in testa, mi girai e vidi Fourcade che venendomi incontro e ridacchiando mi disse: “Maledetto, ti ho visto sui social, noi a -20 e tu fare la bella vita al caldo in spiaggia".

Per me fu un momento molto bello dal punto di vista personale, lì mi sentii davvero accettato dal gruppo, vista anche l’importanza di Fourcade, con cui da allora ebbi tante belle chiacchierate fuori dalle competizioni. Ecco, questo atteggiamento da parte degli atleti mi ha tolto ogni soggezione iniziale e mi fa sentire a mio agio, una tranquillità che credo di trasmettere io stesso a loro».




Non solo biathlon, perché nel frattempo Giulio Gasparin ha anche scritto un libro, il primo di una lunga serie, in quanto si tratta di un romanzo fantasy, anzi forse sarebbe meglio definirla una saga con vari volumi programmati.
«La scrittura mi ha sempre affascinato. Il 3 marzo scorso è uscito il mio primo romanzo, dal titolo "L'Ultimo Custode", nato grazie al crowdfunding, con tante persone che l’hanno acquistato prima della pubblicazione. Alle spalle ci sono tanti anni di lavoro, una storia che ho iniziato a scrivere addirittura ai tempi del liceo. Sto ancora continuando a scriverla, usciranno diversi libri, perché devo andare avanti, dal momento che ancora non so come va a finire e mi sento quasi in debito nei confronti dei miei personaggi. Ho voglia di scoprire io stesso come finisce la mia storia (ride, ndr).
Come faccio con il lavoro? Sacrifico altre cose quando ho tempo libero, con lo scopo di ritagliarmelo per la scrittura. C'è chi alla seria gioca alla play o guarda film e serie su Netflix, io invece mi metto su word. Alla fine, ciò mi aiuta a staccare dalla realtà, trasportandomi in un mondo parallelo, che seppur fantastico, rimane abbastanza reale, nel quale vi sono altri problemi e soprattutto sono altri a doverli affrontare, visto che li faccio accadere io. Sono una persona orribile, vero? (Ride, ndr).
Anche in questa esperienza, ho avuto supporto dal mondo del biathlon, dal momento che spesso alcuni atleti mi hanno chiesto come andassero le cose, qualcuno ha anche comprato il libro in fase di crowdfunding. Ovviamente, essendo in italiano, per la maggior parte degli stranieri è impossibile da leggere, anche perché il libro è abbastanza lungo, in quanto, come avrete compreso, non ho il dono della sintesi. Mi ha fatto piacere, però, che per esempio Dominik Windisch l’abbia preso e letto tutto, tanto che spesso mi scriveva su Whatsapp chiedendomi mille informazioni».


Giorgio Capodaglio

Ti potrebbero interessare anche:

SU