| 22 luglio 2016, 07:28

Il sogno di Pellegrino: "Vorrei provare l'emozione di vincere in staffetta"

Il campione del mondo sprint pensa al futuro: "La prossima stagione non sarà in funzione dei Mondiali di Lahti, sarebbe un grande errore; La staffetta? Non so cosa significa vincerla e mi piacerebbe vivere quell'emozione; le distance? Ho tanta resistenza, mi serve solo esperienza"

Il sogno di Pellegrino: "Vorrei provare l'emozione di vincere in staffetta"

La settimana scorsa abbiamo pubblicato la prima parte di un’intervista a Federico Pellegrino, campione del mondo della sprint nel 2016, nella quale il fondista azzurro ha parlato della sua carriera e delle emozioni vissute nell’ultima stagione, quando è arrivata la vittoria della Coppa del Mondo sprint. Oggi pubblichiamo la seconda parte dell’intervista, nella quale Pellegrino si concentra sul futuro, chiarisce una volta per tutte qual è il suo rapporto con le gare distance e fissa i prossimi obiettivi.  

La volta scorsa abbiamo parlato del passato, ora guardiamo al futuro: nella prossima stagione la vedremo maggiormente impegnata nelle gare distance?
«Prima di rispondere, ci tengo a chiarire una cosa. Uno sprinter dello sci di fondo non è Bolt, perché allo scatto e alla velocità deve comunque unire la resistenza. Non gareggiamo soltanto cento metri, ma soprattutto abbiamo quattro prove consecutive e per superarle serve una grande resistenza oltre che la capacità di recupero. Rispetto agli altri lo sprinter ha la fortuna di avere dalla nascita più fibre bianche, che gli consentono di avere nel breve una velocità superiore alla media. Se parti quindi con questa caratteristica, grazie ai tuoi geni, e ci unisci la componente della resistenza, allora diventi un grande sprinter nello sci di fondo. Per quanto mi riguarda appena sono arrivato in Coppa del Mondo ho subito colto ottimi risultati nelle gare sprint, così mi sono concentrato su quelle, tralasciando le distance, nelle quali per essere competitivo non avrei bisogno di migliorare la mia resistenza, ma semplicemente di fare esperienza».  

Quindi la differenza nelle distance la fa l’esperienza?
«Certo, serve quella per capire quali ritmi tenere nel corso della gara, ma se come me sei forte nella sprint e la domenica in calendario è prevista la tua gara, allora il sabato non corri la distance. La conseguenza è che non partecipando, non fai esperienza e non impari a conoscerti. Io personalmente non so se nelle gare distance posso essere più forte rispetto alla sprint, ma ho iniziato subito forte nella sprint e quindi ho scelto quel percorso. Per diventare un fondista di livello nella distance devi fare molta esperienza, ti serve almeno una stagione intera per imparare a conoscerti. Io ho scelto di seguire un percorso che a 25 anni mi ha regalato dei risultati straordinari, ma che ovviamente non mi ha consentito di crescere nelle distance e farlo ora che sono affermato nella sprint non sarebbe nemmeno facile, perché sarebbe da stupidi rinunciare a quella che è la mia miglior caratteristica. Comunque sto aumentando il numero di gare distance, ma ci tengo a far sapere che mi alleno quanto un atleta che fa questo tipo di competizione, perché lo sprint non devo allenarlo, la velocità ce l’ho e non va via».  

Però lo scorso anno nelle distance ha ottenuto dei risultati migliori rispetto al passato.
«Certo, perché ne ho disputate di più. Sto migliorando e ho avuto ottimi riscontri, sono entrato a far parte della staffetta, ottenendo ottimi risultati sia come primo sia come ultimo frazionista. I test estivi degli ultimi anni, mi hanno sempre visto tra i più resistenti assieme a De Fabiani, questo perché la resistenza c’è. Poi magari un giorno potrei anche valutare se disputare una gara distance il sabato, sacrificando la sprint del giorno dopo, nella quale sarei inevitabilmente meno brillante. Pensare di arrivare a essere il Cologna di alcuni anni fa o un Northug, gente capace di vincere entrambe le gare, sarebbe un progetto davvero tanto ambizioso. Io per ora mi curo bene il mio orticello e lo ingrandisco piano piano. Con l’esperienza sicuramente potrò far bene anche nella distance, tanto che per ora riesco a fare meglio nelle mass start, perché non devo decidere il ritmo ma adeguarmi al gruppo, tanto che magari a volte mi sembra quasi di andare piano. Insomma, devo imparare a gestire e dosare le energie nel corso della gara».  

Oltre alla Coppa del Mondo, quest’anno è in programma anche il Mondiale di Lahti. Punta a quell’appuntamento?  
«Interpreterò la prossima stagione come ho fatto nell’ultima, ragionando gara per gara. Per quanto mi riguarda, il Mondiale sarà solo una gara in più, perché sarebbe un errore mirare a un solo appuntamento. Grazie al lavoro del tecnico Chenetti sono in grado di stare in forma dall’inizio alla fine della stagione. Se puntassi soltanto al Mondiale correrei un grande rischio, perché poi rischierei di perdere sia la gara di Lahti sia la Coppa del Mondo. Soprattutto nelle sprint ci sono molte variabili e magari quel giorno potrebbe andare storto qualcosa o potremmo avere problemi con i materiali. La mia preparazione quindi non cambierà, poi ovviamente nel corso della stagione vedremo se cambiare i carichi di lavoro in base al calendario. Io comunque ho piena fiducia non solo in me stesso, ma soprattutto nel mio allenatore, nel nuovo staff di skimen, nel fisioterapista e nell’allenatore Riva».  

Oggi lei è l’uomo di punta dello sci di fondo italiano: sente maggiori respobsabilità?  
«Da una parte si, ma dall’altra è una soddisfazione se vedo i miei compagni esprimersi al meglio anche grazie a me. Certo questo è uno sport individuale, nel quale ognuno pensa soprattutto a se stesso, ma vivendo assieme tutto l’anno è importante avere un ottimo rapporto, vivere e allenarsi nel modo più tranquillo. Io e De Fabiani stiamo ottenendo degli ottimi risultati, ma vi assicuro che in ogni allenamento sono tanti gli atleti che danno l’anima quanto noi e sono uno stimolo a tirare fuori qualcosa in più. So che lo sci di fondo italiano ha grande tradizione anche grazie ad atleti del passato e ora sta noi far si che questo sport torni a essere apprezzato, fare in modo che una generazione trasmetta la sua passione a quella successiva, di padre in figlio, dal nonno al nipote».

Ci ha raccontato che nel 1994 suo padre era presente alla vittoria di Lillehammer e dopo quel successo vi trasmise la passione per questo sport. Sogna di regalare all’Italia un altro oro nella staffetta?
«Magari, sarebbe un sogno. Per quanto mi riguarda vincere da solo è bello, ho scoperto che farlo in coppia è ancor più bello, chi lo cosa vuol dire vincere in quattro, magari farlo con una volata da protagonista. Sono emozioni che vorrei poter provare e farò di tutto per viverle. So che mi piace vincere e le volte che siamo riusciti a ottenere risultati di squadra mi è piaciuto tanto, soprattutto se ho dato il mio contributo».

 

 

Giorgio Capodaglio

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