Biathlon | 16 marzo 2017, 17:42

Michela Carrara, la ragazza d'oro: "Amo il biathlon e la sua imprevedibilità"

La valdostana ha vinto un oro e un argento ai Mondiali Giovanili di Brezno: "È stato emozionante quando l'inno è suonato per me; questo risultato mi ha messo maggior fiducia; un esempio da seguire? Lisa Vittozzi"

Michela Carrara, la ragazza d'oro: "Amo il biathlon e la sua imprevedibilità"

Brava in pista sugli sci stretti, al poligono con la carabina e anche sui banchi di scuola. Michela Carrara, vent’anni non ancora compiuti, da La Salle (Valle d’Aosta), ha da poco vinto un oro e un argento nella categoria junior ai Mondiali Giovanili disputati in Slovacchia, dimostrandosi una biatleta sulla quale il biathlon italiano potrà investire. Ma non solo, la giovane valdostana è anche una ragazza dall’intelligenza sopra la media, come dimostra la borsa di studio “Attilio Bravi” vinta un anno fa, grazie a una media scolastica di 8,63. L’abbiamo intervistata per rivivere con lei le emozioni delle medaglie vinte ai Mondiali Giovanili e conoscere quelli che sono i suoi obiettivi.

Ciao Michela. Puoi descriverci le emozioni che hai vissuto quando hai vinto l’oro nella sprint mondiale?
«Ci ho messo un po’ a crederci, anche perché, essendo partita con il numero ventiquattro, sono stata costretta ad aspettare i risultati di tante avversarie. Poi, quando sono andata a cambiarmi, ho continuato a chiedere al mio skiman se nessuna atleta mi aveva superato, se avevo vinto davvero. Insomma, ci ho messo un bel po’ a realizzare. Più tardi sono salita sul podio e ho vissuto l’emozione dell’inno italiano. Mi ero già emozionata il giorno precedente, quando l’avevo sentito per le mie compagne (Irene Lardschneider e Samuela Comola ndr), figuriamoci quando è suonato per me».

Ti sei poi ripetuta con l’argento nell’individuale, quando sei partita dalla prima posizione: è stato difficile reggere la pressione?
«In realtà no, ero più agitata alla vigilia della sprint, perché quando sono partita nell’inseguimento, avevo il pettorale numero uno in quanto avevo già una medaglia al collo. Il mio obiettivo era di fare soltanto un’altra bella gara, mi sarebbe bastato anche entrare nelle prime dieci, non mi aspettavo di vincere un’altra medaglia. È stato emozionante partire con il pettorale numero uno davanti a tutte, ma non mi sono messa pressioni, sono rimasta tranquilla per tutta la gara».

Alla vigilia dei Mondiali, ti aspettavi di vincere delle medaglie?
«Assolutamente non avrei mai immaginato di vincere due medaglie. Il mio obiettivo era quello di entrare nelle prime dieci, invece sono andata oltre le mie aspettative».

A proposito di aspettative: sono aumentate dopo queste due medaglie?
«No, questi successi non hanno fatto crescere le mie aspettative, ma mi hanno dato maggior fiducia, facendomi capire che se tutto va bene, sia io sia le mie compagne possiamo giocarcela per i primi posti anche a livello internazionale».

Torniamo indietro nel tempo: come è nata la tua passione per il biathlon?
«Da bambina ho iniziato prestissimo a praticare fondo insieme ai miei genitori. Poi ho chiesto a mio papà di iscrivermi allo sci club locale e così ho cominciato a fare le mie prime gare. Dopo qualche anno il mio sci club, Valdigne Mont Blanc, ha organizzato una gara di biathlon in onore di mio zio, Valter Jordaney, così ho deciso di partecipare, ho provato a sparare e mi è subito piaciuto. Sono rimasta immediatamente affascinata dalla fase di tiro, una cosa che piace a ogni bambino. Del biathlon, poi, mi è piaciuta immediatamente l’imprevedibilità, perché è difficile vedere due volte la stessa classifica, non è come il fondo nel quale, se sei bravo e stai fisicamente bene, vinci. Nel biathlon può sempre accadere di tutto».

Quando hai capito che la tua passione per il biathlon si sarebbe trasformata nel tuo lavoro?
«Direttamente quando mi hanno arruolata, perché fino a quel momento non sapevo se avrei potuto continuare a lungo con il biathlon, perché ci sono delle spese da sostenere. Invece, adesso, so che potrò farlo per tanti anni. Arruolandomi, l’Esercito mi ha fatto un grande regalo».

Qual è il tuo obiettivo?
«Spero di entrare presto nel circuito dell’IBU Cup e l’obiettivo successivo sarà esordire in Coppa del Mondo. Però restiamo con i piedi per terra, ora è ancora tutto molto lontano».

Tornando al biathlon: dove pensi di dover migliorare?
«Da tutte le parti. Ho bisogno di crescere moltissimo nel tiro, nel quale devo essere più precisa e veloce. Ai Mondiali ho sparato bene e sono riuscita, infatti, a ottenere degli ottimi risultati. Inoltre ho tanto lavoro da fare anche sugli sci».

C'è un’atleta che stimi particolarmente e che vuoi prendere come esempio?
«Fin troppo facile per me rispondere Laura Dahlmeier, perché oggi è spettacolare in qualsiasi cosa. Se devo scegliere un esempio da seguire, però, dico Lisa Vittozzi, perché è giovanissima e ho anche avuto modo di conoscerla in occasione dei miei primi Mondiali Giovanili. La stimo perché è sempre molto convinta delle sue capacità, ha grande fiducia in se stessa e questo la porta a ottenere, già a una giovanissima età, dei grandissimi risultati. Dovremmo essere tutti come lei, avere fiducia in noi stessi ed essere convinti di poter fare sempre bene. In questa maniera è più facile raggiungere gli obiettivi prefissati».

Due anni fa hai vinto un premio per la tua media voto a scuola: sei un esempio di come si possa fare sport e studiare ottenendo degli ottimi risultati.
«Si, a scuola andavo molto bene. Mi ritengo molto fortunata perché riesco ad apprendere le cose velocemente. Inoltre, ho sempre avuto delle compagne di classe super, che mi hanno aiutata a studiare, mandandomi gli appunti».

Hai fatto tante rinunce per il biathlon?
«Sicuramente bisogna seguire uno stile di vita da atleta e di conseguenza fare alcune rinunce, ma sinceramente non mi pesa»

Giorgio Capodaglio

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