Salto | 09 maggio 2020, 15:33

I ricordi di Elena Runggaldier: "Iniziai per scherzo, poi il salto è diventato la mia vita"

Lunga intervista alla saltatrice gardenese delle Fiamme Gialle, che giovedì ha annunciato l'addio all'attività: "Lo sport mi ha insegnato tante cose utili nella vita, come gestire le difficoltà e soprattutto le sconfitte"

Credit: Photo Elvis

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È stata una delle pioniere del salto con gli sci femminile, vincendo un bellissimo argento mondiale ad Oslo nel 2011, ma soprattutto contribuendo alla crescita del movimento azzurro, anche facendo da guida negli ultimi anni ad atlete che vedevano in lei un esempio da seguire. Giovedì Elena Runggaldier ha deciso di dire basta e ritirarsi, sposarsi a settembre con François Braud, ex combinatista francese, e cambiare decisamente vita.

La gardenese delle Fiamme Gialle ha parlato a Fondo Italia della sua scelta, ripercorrendo anche gli inizi della sua carriera, quando tutto iniziò per scherzo, la splendida medaglia mondiale, i momenti belli e quelli brutti, le amicizie, ma parlando anche anche dell’eredità che lascia e soprattutto della sua passione per il salto.

Ciao Elena. Che giornata è stata per te quella di giovedì scorso?
«Molto bella e altrettanto impegnativa. Ho ricevuto tantissime chiamate e messaggi, sinceramente non pensavo che la notizia si spargesse così velocemente. È stato bello scoprire quanta gente tiene a me, non mi aspettavo tanto affetto».

Dal punto di vista emotivo, quali sensazioni hai provato mentre scrivevi il messaggio d’addio?
«Mi sono emozionata, perché in quel momento tanti ricordi mi passavano per la testa.».

Ci puoi raccontare com’è maturata la tua decisione?
«L’ho presa poco tempo fa, quando ho ripreso ad allenarmi, notando che mi mancava la stessa motivazione avuta per anni. A quel punto mi sono chiesta se fosse veramente ciò che volessi fare, ho sentito di non essere più così stimolata. Sai, ogni anno non vedevo l’ora, in questa fase, di riprendere ad allenarmi e tornare a saltare. In quel momento, invece, non mi mancava, mi era passata la voglia, ero stanca. Quando sei un’atleta ad alto livello, se vuoi ottenere dei risultati e perseguire degli obiettivi, devi investire tutta te stessa. Lo sport non è soltanto allenamento e divertimento, ma anche tante fasi difficili da affrontare. Ecco, non mi sentivo più pronta a mettermi alla prova con queste ultime, non sentivo quella fame che uno sportivo normalmente ha. Lì ho capito che era giunto il momento giusto per smettere. Da quando ho preso questa decisione sono più serena, tranquilla e contenta. Ciò significa che era quella giusta».

Nel periodo di indecisione hai chiesto consiglio al tuo futuro marito (François Braud, ndr), che ha fatto la stessa scelta lo scorso anno?
«Devo ammettere che lo scorso anno rimasi sorpresa, non avrei mai pensato che si ritirasse prima di me, anche perché era ancora molto competitivo. Quando, all’inizio di quella stagione, mi disse che sarebbe stata per lui l’ultima ad alto livello, nemmeno ci credetti fino in fondo, ero convinta potesse ripensarci. Quando poi annunciò il suo ritiro, mi disse che non avrei dovuto ritirarmi solo perché l’aveva fatto anche lui. Ha sempre sostenuto ogni mia decisione. Mi avvertì anche di una cosa, che ho poi scoperto essere vera: sarei stata io a capire il momento giusto per farlo, avrei sentito qualcosa dentro di me. È stato veramente così: ho sentito una voce dentro di me, che mi ha detto di ritirarmi perché il cerchio era ormai chiuso».  

Adesso cosa farai?
«Intanto a settembre, se tutto andrà bene, mi sposerò con François qui in Val Gardena. Poi proseguirò con le Fiamme Gialle, che ringrazio di avermi dato questa opportunità. Al momento non ho ancora deciso cosa farò, dobbiamo ancora parlarne per bene. In tanti mi chiedono se proseguirò restando nel mondo del salto, ma per il momento sento proprio il bisogno di staccare un attimo. Magari non escludo di tornare a lavorare in questo ambiente in futuro, ma ora non potrei, nonostante sia bellissimo. Oggi sento di dovermi dedicare ad altro, perché al salto ho pensato per tutta la mia vita».

Pensi di fare qualche salto per divertimento in futuro?
«Diciamo che un fondista o un discesista, quando si ritirano, possono proseguire tranquillamente a praticare il loro sport per piacere, per noi saltatori è un po’ diverso. C’è chi ogni tanto, anni dopo il ritiro, va a fare qualche salto, ma oltre alla passione serve anche tanto fegato, perché è difficile saltare dopo tanto tempo. Già quando sei professionista, è sempre complicato riprendere dopo la pausa primaverile. I primi salti sono sempre un po’ diversi, non hai paura ma senti un po’ di tensione in più. Prima fai allenamento e ti prepari. Poi non so, magari tra un anno potrei anche avere paura di farmi male nel saltare su un trampolino da 90».

Torniamo indietro nel tempo e raccontaci come tutto è iniziato.
«È partito tutto da Romed Moroder. Da bambina praticavo sci di fondo e, come ogni anno, a fine stagione, avevamo la gara sociale dello Sci Club Gardena, nel corso della quale si facevano anche tanti altri giochi. Quel giorno Moroder, che allenava la squadra juniores di fondo, mi chiese se avessi la voglia di provare a fare salto con gli sci. Era il 1 aprile, quindi io ero convinta fosse uno scherzo, allora gli risposi di si perché volevo far finta di stare al gioco. A me il salto nemmeno appassionava, l’avevo visto alcune volte in tv, sempre a capodanno, perché mio zio lo guardava, ma non mi piaceva, sembrava noioso in tv. Alcuni mesi dopo, Romed mi chiamò dicendomi che la settimana successiva saremmo andati a fare i primi allenamenti di salto. Ero piccola, non me la sentivo ormai di dire no, quindi acconsentì. Chiesi se potessi portare mio fratello, così andammo entrambi ad allenarci. Eravamo il primo gruppo della Val Gardena a saltare, qui facevano tutti fondo, biathlon o alpino, nella valle era uno sport sconosciuto».

Allora era per te difficile immaginare che saresti diventata una saltatrice professionista.
«Non avrei mai pensato che sarebbe diventato la mia vita. Anche perché in un primo periodo, durato due anni, praticavo contemporaneamente anche il fondo, fino a quando mi sono resa conto di dover fare una scelta, perché era troppo faticoso farli entrambi. Anche perché non essendoci trampolini da noi in Val Gardena, dovevamo andare a saltare lontano. La mia giornata tipo era la seguente: scuola la mattina, quindi panino al volo, viaggio verso l’Austria, allenamento e ritorno a casa la sera. Alla fine ho optato per il salto, mi piaceva tanto salire in seggiovia, era emozionante saltare e soprattutto si era creato un gruppo di bambine con le quali mi divertivo tantissimo. Di quelle ragazzine ero l’ultima ancora in attività».

Guardando alle spalle qual è il momento che ricordi con maggior piacere?
«Se penso ai risultati non ci sono dubbi: la medaglia al Mondiale di Oslo del 2011. Fu una cosa totalmente inaspettata, non pensavo alla possibilità di vincere la medaglia, ero già contenta di saltare bene durante gli allenamenti. Ricordo che al termine della prima serie di salto ero già seconda e per quel motivo mi salì tanta tensione, perché non dovevo assolutamente sbagliare il secondo salto. Alla fine chiusi al secondo posto e dopo la gara fu difficile realizzare cosa stesse accadendo, perché ero molto piccola, tutti venivano da me a complimentarsi. Soltanto con il tempo sono riuscita a realizzare bene la portata del risultato ottenuto».

Al contrario, ci sono mai stati momenti difficili nei quali hai avuto addirittura il pensiero di smettere?
«Sinceramente non ho mai pensato di smettere, ma come ho avuto momenti belli, ci sono stati ovviamente anche quelli difficili. Alla fine nello sport sono più le sconfitte delle vittorie. In assoluto, però, il momento più brutto è il giorno in cui Simona Senoner ci ha lasciato, avevamo fatto tutto il percorso insieme. Accadde un mese e mezzo prima del Mondiale di Oslo, noi eravamo devastate. Fortunatamente eravamo una squadra molto compatta e riuscimmo a farci forza grazie anche a degli allenatori bravissimi. Fu una situazione davvero difficile da gestire per tutti noi».

Sei una pioniera del salto femminile, visto che quando iniziasti nemmeno esisteva la Coppa del Mondo; quanto è cambiata la tua disciplina nel corso degli anni?
«Tantissimo. All’inizio non esisteva la Coppa del Mondo, il massimo livello era la Continental Cup, i trampolini erano più piccoli e anche noi prendevamo le cose più alla leggera. Si andava nelle località ospitanti, si facevano le gare e da giovanissime la cosa più importante per noi era divertirsi, avevamo tante amiche nelle altre nazionali. Una volta nata la Coppa del Mondo, le cose sono cambiate, tutto è diventato più serio, erano finiti i tempi delle feste in camera delle amiche. Alle gare vedevamo per la prima volta anche le tv e per noi era qualcosa di emozionante, un grande passo avanti. Da allora il nostro sport si è evoluto tantissimo, sono arrivati i trampolini grandi, i Mondiali, le Olimpiadi, il movimento è cresciuto tanto e sono anche cambiati i materiali. All’inizio avevamo delle tute più larghe e sci più lunghi. Ciò mi rendeva le cose più facili, perché io sono sempre stata una volatrice, quindi a quei tempi facevo meno fatica, pur non avendo una forza esplosiva come altre. Con gli anni il livello si è alzato e il materiale ha iniziato a sfavorire chi come me puntava molto sul volo. Insomma tanti cambiamenti».

Hai parlato di tante amiche. C’è però un’atleta straniera che stimi in modo particolare?
«Ne stimo tante, ma se devo sceglierne una allora dico Eva Pinkelnig. L’austriaca è una bellissima persona, tra noi c’è un buonissimo rapporto, ci siamo spesso confrontate, trovate per un caffè o una corsa assieme nelle varie tappe di Coppa del Mondo. Sono sempre rimasta colpita dalla sua storia, da come lei abbia iniziato a saltare. Da giovane faceva freestyle e arrampicata, ma per pura passione, non per agonismo. Le era però sempre piaciuto il salto, il sogno della sua vita era saltare una volta cento metri. Non altro, solo un salto da cento metri. Così dopo i vent’anni, molto tardi nella nostra disciplina, iniziò a saltare e gli allenatori austriaci notarono subito le sue doti, così la portarono immediatamente a fare i Campionati Austriaci, dove ovviamente ottenne subito un buon risultato. In quel momento capì che doveva provarci. Se penso alla stagione che ha appena fatto, credo sia incredibile. Nonostante i successi è sempre rimasta con i piedi per terra. Anche nei momenti più difficile, è sempre stata la persona che veniva a darmi consigli o tirarmi su di morale. La stimo come atleta e persona».
    
Che squadra italiana ti lasci alle spalle?
«Una squadra giovane e forte, che ha il potenziale per raggiungere dei bei risultati. Adesso aspettiamo le altre giovani che stanno salendo e assieme alle sorelle Malsiner potrebbero portare la squadra ad essere davvero forte. Lara ha già mostrato negli ultimi due anni il suo valore, mentre Manuela ha subito tre infortuni tosti, quest’anno ha sofferto come logico che fosse, perché ci vuole del tempo nel salto per ritrovare fiducia dopo dei brutti infortuni. Già quest’anno, però, è cresciuta nel corso della stagione e sono convinta che presto vedremo la vera Manuela e potrà fare belle cose. Poi abbiamo le giovani, Giada Tomaselli, Martina Ambrosi, Jessica Malsiner, penso ci sia un bel gruppo».

Cosa consigli a Manuela e Lara Malsiner?
«Consiglio loro di continuare a fare le cose come hanno sempre fatto, lavorare e mettercela tutta. Oggi io sono contenta di poter smettere dicendo di aver dato tutto senza alcun rimpianto di dire: “dovevo impegnarmi di più”. L’importante è che da qui a tanti anni, quando smetteranno, possano avere la consapevole di aver dato tutto e lasciare senza rimpianti, come faccio io ora. Le invito a godersi tutti gli anni che hanno davanti a loro e mi auguro abbiano una carriera lunga e ricca di successi».

Cosa ti lascia il salto?
«Il salto per me ha significato veramente tanto, ho imparato molto grazie allo sport, che è una scuola di vita. Ho capito come gestire tante situazioni difficili e le sconfitte. Una cosa importante nella vita, perché devi saper restare positivo anche quando le cose non vanno come avresti voluto e continuare a guardare avanti. Adesso lo lascio con tantissimi bei ricordi, da quando ho iniziato fino ad oggi, tutte le volte che sono andata in giro per il mondo con le amiche della squadra e ci divertivamo. Sono ricordi che restano sempre nel cuore. Sono grata di questo. Le cosa bella dello sport in generale è la possibilità di incontrare tanta gente, non soltanto altri atleti ma anche persone dell’ambiente, che ti seguono con la tua stessa passione, allenatori, dirigenti, giornalisti e tifosi. Ciò è veramente bello. Come ho già detto, ho ricevuto tanti messaggi, significa che la gente teneva a me ed era mia tifosa. È bello quando ti rendi conto di aver condiviso la tua passione con tante altre persone»

Giorgio Capodaglio

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