Biathlon | 04 aprile 2021, 13:51

Fabrizio Curtaz: “È stata una stagione positiva; Vittozzi? È una risorsa importante, la aiuteremo a ritrovare continuità”.

Seconda parte dell'intervista al dt della nazionale italiana: "Quando Hofer e Wierer lasceranno sarà fondamentale coinvolgerli subito in nuovi ruoli, per dare continuità e spinta alla squadra che dovrà affrontare le sfide senza di loro"

Fabrizio Curtaz: “È stata una stagione positiva; Vittozzi? È una risorsa importante, la aiuteremo a ritrovare continuità”.

Nella giornata di ieri abbiamo pubblicato la prima parte di una lunga intervista a Fabrizio Curtaz, nella quale il direttore tecnico del biathlon italiano ha parlato dello stato di salute del movimento e dell’importanza di aver portato avanti l’attività in una stagione ricca di incertezze a causa del covid. Curtaz ha anche applaudito l’IBU per l’ottima organizzazione della Coppa del Mondo.

Oggi pubblichiamo la seconda parte, nella quale Curtaz si è concentrato sull’aspetto sportivo, tracciando un bilancio della stagione azzurra e guardando anche al futuro prossimo e non solo.

Come giudica la stagione della squadra italiana? Aver chiuso il Mondiale senza medaglia pesa sul suo giudizio?
«Io la ritengo una stagione molto positiva, pur non avendo conquistato medaglie a Pokljuka. In un Mondiale la medaglia puoi vincerla o perderla per un decimo, una differenza minima. In realtà, a mio parere quello sloveno è stato per noi uno dei Mondiali più proficui come livello da noi espresso. Se avessimo conquistato la medaglia con un solo atleta, tenendo però un livello molto più basso con tutti gli altri, non sarebbe stato un Mondiale buono. Ritengo che la maggior parte dei nostri atleti si sia espresso su buonissimi livelli, mostrando un buon potenziale. C’è anche chi a Pokljuka ha ottenuto il proprio miglior risultato stagionale. Oltre ai soliti noti, anche gli altri si sono ben comportati ed i giovani hanno mostrato di essere pronti. Lo scorso anno, per esempio, avevamo vinto medaglie praticamente con la sola Dorothea, tranne per la staffetta mista, ma attorno a lei come Squadra ci siamo espressi su un livello generale più basso. Poi, ovviamente, c’è il Mondiale molto positivo, come quello di Östersund, quando le medaglie furono conquistate da più atleti, quello che rende il Mondiale svedese il più proficuo di tutti. A Pokljuka non abbiamo trovato la zampata, mia siamo sempre stati in lotta per vincere qualcosa. Se penso alla staffetta maschile, per esempio, è stata una gara bellissima nella quale abbiamo lottato fino alla fine per il podio. Un anno fa non lo avremmo mai immaginato. Anche nella single mixed siamo stati in testa per tre quarti della gara. Poi in alcune gare abbiamo faticato di più, anche a causa di quell’influenza che ha limitato alcuni dei nostri big».

A proposito della staffetta maschile, Giacomel ci ha svelato di essere stato malissimo dopo quel poligono in piedi e di averci pensato a lungo. Cosa vi ha spinto quel giorno ad affidarvi ad entrambi i duemila?
«Sono proprio quelle le gare importanti per la crescita dei giovani, che danno loro maggiore esperienza. In staffetta devi dare il massimo, hai tanta pressione e ti trovi a vivere delle situazioni dalle quali hai tanto da imparare. Bisogna passare da momenti come quello vissuto da Tommaso per capire cosa significhi fare una gara di quel livello per vincere una medaglia. Se abbiamo scelto di schierare i due giovani in quella gara è stato proprio per far vivere loro questi momenti, fare quell’esperienza che tornerà utile nei prossimi anni. Questo cose non si allenano, puoi solo impararle in gara perché in allenamento non potrai mai riprodurle».

A proposito di scelte. Ha fatto molto discutere la decisione di preferire Bionaz a Windisch nella prima frazione della staffetta mista. Avreste fatto la stessa scelta se a chiudere fossero stati gli uomini?
«No, in quel caso la scelta sarebbe probabilmente caduta ancora su Domi. In questo caso, però, partivano prima gli uomini e per caratteristiche sappiamo che il lancio non è la frazione più adatta a lui. Avevamo anche pensato di schierare lì Luki, ma era sicuramente più importante averlo in seconda. Così abbiamo optato per Didier, che sta già lavorando al lancio per la staffetta maschile e sta imparando a farlo. Questo ragazzo si è presentato al Mondiale che stava bene, in piena forma e nella sua versione migliore. In realtà, se poi analizziamo attentamente la gara, quel giorno ci sono mancati un po’ purtroppo proprio i nostri due atleti top (Hofer e Wierer, ndr), che si erano entrambi ammalati in raduno e non erano assolutamente in condizione in quell’occasione. Altrimenti chissà come sarebbe andata».

Allontanandoci dal solo Mondiale di Pokljuka ed analizzando la stagione nel suo complesso, abbiamo visto una crescita complessiva della squadra maschile, compreso Bormolini partito da fuori squadra. Pensa che su questo abbia inciso anche l’inserimento dei due giovani?
«Potrebbe anche essere questo. I due giovani (Bionaz e Giacomel, ndr) vanno molto forte, tanto che lo scorso anno li avevamo portati presto in IBU Cup e da lì immediatamente in Coppa del Mondo. I due hanno dato una scossa a tutto l’ambiente maschile. È sempre difficile entrare nel particolare dell’aspetto mentale, ma certamente quando aumenta la competitività, si alza l’asticella e di conseguenza migliorano le prestazioni. Voglio però fare una precisazione su Bormolini. Ho sentito e letto troppe volte in stagione che Thomas in estate fosse fuori dalla squadra. Non è vero, lui era in squadra, faceva parte del gruppo osservati che da metà giugno fino a fine novembre ha fatto raduni e si è allenato come gli altri gruppi. Lui si è sempre allenato con la nazionale. Come avevo già detto lo scorso anno, bisogna iniziare ad uscire dalle dinamiche che ereditiamo dai sistemi degli anni ottanta e novanta, basati su squadra A, B, C od E. Oggi si fanno dei gruppi di lavoro, che vengono formati ragionando sul livello degli atleti, sulle caratteristiche fisiche e tecniche, sul loro tiro, su come il fisico di ognuno sia in grado di sopportare certi carichi. Bisogna ragionare sulla base di ciò che abbiamo visto in ogni atleta, stabilire il tipo di lavoro da fare, per poi metterlo assieme ai compagni giusti per permettergli di esprimersi al meglio. C’è l’atleta che ha bisogno di essere trainato, oppure quello che va calmato affinché non esageri. Spesso i gruppi di lavoro estivi non coincidono poi con le squadre che vedete in inverno in Coppa del Mondo. Bisogna mettere assieme delle persone che hanno lo stesso obiettivo, che va condiviso ovviamente con gli atleti alla vigilia della preparazione. Spero di essere stato chiaro».

Passiamo alla squadra femminile. In questo caso c’è stata qualche difficoltà in più rispetto a quella maschile. Crede che l’eventuale inserimento di alcune giovani possa dare la stessa scossa che Giacomel e Bionaz hanno dato alla squadra maschile?
«Per le donne è stata una stagione un po’ a metà per tantissimi motivi. Le nostre atlete top, per un motivo o per l’altro, non sono riuscite a tenere il trend delle ultime stagioni, anche se comunque non dimentichiamo che Wierer ha vinto una gara e conquistato una coppa di specialità ed ha terminato al 5° posto nella generale. Lo stesso è inizialmente accaduto anche alle altre. Chi ha fatto fatica dopo il covid, chi ha avuto subito un infortunio e successivamente ha preso il covid, infine chi è stata bene per tutta la preparazione ma ha successivamente patito le prime gare. La stagione è stata a tratti positiva, in altri meno. Ci sono stati quindi alti e bassi. Per questi ultimi bisogna capire per ognuna delle atlete cosa sia accaduto e la motivazione.
Per quanto riguarda le giovani, bisogna tenere presente che ognuna ha il proprio percorso, non si deve chiedere di avere tutto assieme. Ci sono delle atlete che stanno crescendo, creando delle basi di lavoro, poi abbiamo quei due talenti di Doro e Lisa che sono di un altro pianeta. Proprio per questo dobbiamo stare attenti, perché farle allenare con loro può anche essere rischioso. Sono un buon traino ma che non diventi pericoloso. Le giovani stanno avendo un trend di crescita costante nelle fasce d’età junior, sono ragazze che hanno talento e si stanno esprimendo ad alti livelli. Forse non velocemente come i due giovani della squadra maschile (Bionaz e Giacomel, ndr), ma anche loro possono arrivare ai livelli più alti e formare una staffetta femminile competitiva, anche perché purtroppo anche quest’anno abbiamo fatto fatica, abbiamo per ora una staffetta femminile a due ruote motrici. Dobbiamo lavorare sodo affinché presto non sia più così, perché ci crediamo tanto nella staffetta femminile. Per esempio qualcosa di molto positivo in tal senso l’ha mostrato Michela Carrara. Nonostante un 2020 sfortunatissimo, tra infortunio e pause obbligate, ha fatto un Mondiale da leccarsi i baffi. È riuscita a fare un salto in avanti tra tanti problemi, quindi l’augurio è che ora possa proseguire su questo trend. Ognuna ha il suo percorso»
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Ovviamente dopo il podio in IBU Cup e la grande prestazione agli Italiani, ci si aspetta di vedere Rebecca Passler presto in Coppa del Mondo. C’è questa possibilità?
«Rebecca Passler è sicuramente un’atleta rispetto alla quale stiamo valutando cosa fare, perché è un elemento da preparare già per le prossime staffette, ha il livello giusto per farle. E’ molto difficile capire che livello possa esprimere un atleta in Coppa del Mondo paragonando esclusivamente tempi, distacchi e penalità su gare di altri livelli. La Coppa del Mondo è un altro mondo. Non si possono fare paragoni tra i tre circuiti. Chi lo fa non sa si cosa parla. Non si può dare per scontato che se una biatleta prende 20” da un’avversaria in IBU Cup, avrebbe lo stesso distacco da lei anche in Coppa del Mondo. In questi 20” inoltre ci possono stare 12 – 15 atlete rispetto alle gare in Ibu Cup, perché la concorrenza è maggiore ed è più agguerrita. Entrano in gioco altri fattori. Già la pressione che hai in Coppa del Mondo rispetto all’IBU Cup è di un altro livello. Abbiamo delle atlete che sono ancora giovani e alle quali dobbiamo dare tempo. Hanno un gran livello, vogliamo lavorare su questo gruppo pensando al 2026 e magari anche già per il 2022 soprattutto in ottica staffetta, per avere almeno cinque atlete pronte per una squadra competitiva e continuare nella crescita e nello sviluppo sotto il profilo delle esperienze».

Mi scusi se resto ancora su Rebecca Passler. In tanti hanno criticato la vostra scelta di non portare lei e Daniele Cappellari alla tappa di Coppa del Mondo di Östersund. Come mai avete preso questa decisione?
«Ci sono diverse motivazioni. Innanzitutto una prettamente tecnica. Rebecca veniva da diverse settimane consecutive di impegni, dal raduno pre Mondiale fino alla tappa di IBU Cup non si era praticamente fermata. Anche Daniele era stanco dopo una stagione lunga e avrebbe rischiato poi di non qualificarsi per l’inseguimento se avesse fatto un paio di errori. Dare ad un atleta la possibilità di recuperare bene è molto importante. Gli atleti non sono macchine.
A queste si sono aggiunte anche motivazioni legate alla tutela della salute sia loro che del resto della squadra, oltre che logistiche. Non potevamo certo rischiare di far prendere il covid ai nostri atleti per disputare una sprint. Abbiamo ragionato sul fatto che non sarebbe cambiata la loro esperienza o crescita se avessero fatto una gara di Coppa del Mondo ad Östersund nel mese di marzo, ma sarebbe cambiato sicuramente tanto se avessero malauguratamente preso il covid e se lo fossero trascinato fino a maggio, o se avessero bloccato tutto il resto della squadra in Svezia. Utilizzare un volo di linea con un paio di scali alza di molto il rischio di contrarre il virus; ci sono stati casi che ci hanno insegnato qualcosa. Abbiamo dovuto usare il buonsenso e capire se la corda costasse più del sacco. L’idea iniziale era di provarci, ma abbiamo alla fine deciso di lasciarli tranquilli e far fare loro una bella staffetta in IBU Cup. Noi siamo qui per fare il bene degli atleti, al centro ci sono loro. La salute e recuperare bene è più importante di una gara»
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Capitolo Lisa Vittozzi. La sappadina ha avuto diversi alti e bassi in questa stagione, non riuscendo a tornare ai suoi livelli. Avete ragionato anche sulla possibilità di intraprendere un percorso diverso con lei, magari anche inserendola in un nuovo gruppo di lavoro?
«Anche in questo caso inizio con una precisazione. Non è che Lisa non sia più ai suoi livelli, non lo è con continuità. Ha diversi alti e bassi, ci sono stati dei blackout che non le hanno permesso di fare una stagione regolare. Ciò significa che il suo talento è sempre lì ma deve trovare il sistema per riuscire a proporlo con continuità. Con lei abbiamo intrapreso una determinata strada contando fosse quella giusta. Solo a fine stagione, a bocce ferme, si può analizzare cosa sia andato bene e cosa meno. Ora ci rimettiamo attorno al tavolo, come fatto già lo scorso anno, per valutare assieme cosa fare per la prossima stagione e quale percorso prendere. I gruppi cerchiamo sempre di formarli tenendo in considerazione molti aspetti, come ho detto già in precedenza. Questo gruppo aveva dei riferimenti utili anche per lei. Sicuramente Lisa è una risorsa importante del biathlon italiano e faremo il possibile per riportarla a fare ciò che sa fare con maggiore costanza. Il nostro sport è molto mentale e quando perde di leggerezza e serenità può diventare molto più complicato di quello che è. Capitano dei momenti negativi nei quali devi trovare un piano B e cercare di reagire. Sono cose che non avvengono in due giorni o un mese, ci vuole del tempo, bisogna mantenere la calma e guardare avanti con tanta lucidità».

In passato, Dorothea Wierer ha affermato di poter smettere dopo Pechino 2022, Hofer ha ammesso che la sua intenzione iniziale era di ritirarsi dopo il Mondiale di Oberhof del 2023. Ciò la spaventa? Crede il biathlon italiano sia pronto ad un futuro senza Wierer e Hofer?
«È difficile dire se l’Italia sia pronta ad un futuro senza Doro e Luki, sbaglierei in ogni caso. Certo è solo che Doro in questi anni ha messo il vestito da sera al Biathlon Italiano e adesso tutti abbiamo ballato più o meno spensierati. Se guardo il livello attuale dei nostri giovani biatleti, potrei dire che siamo pronti perché hanno sicuramente del talento e buoni margini di miglioramento. Sicuramente, oltre a Lisa Vittozzi che conosce quel livello, sarebbe difficile immaginare di avere altri atleti in grado di ottenere i loro risultati con la stessa continuità subito dopo il loro eventuale ritiro. Non si può pretendere dai giovani che siano subito al livello degli Hofer, Wierer o Windisch, poi con il tempo ci arriveranno, ne sono sicuro. Per me la squadra italiana ha elementi di buon livello ed è competitiva, ovviamente senza questi due campioni perderemmo qualcosa di molto importante nell’immediato. Quando atleti del genere smettono, bisogna solo avere pazienza e fondamentale sarà coinvolgerli da subito in nuovi ruoli, per dare continuità e spinta alla squadra che dovrà affrontare le sfide senza di loro. Poi bisogna considerare che ci sono anche le altre nazioni e non sappiamo come e quanto cresceranno, tutti ormai lavorano ad alti livelli. Comunque non escluderei che Lukas arrivi anche al 2026, sempre che trovi le motivazioni per lavorare duro e che il fisico lo accompagni. La sua tenacia penso sia unica. Ci vuole tempo e pazienza. Ho però la certezza che stiamo lavorando molto bene anche in ottica futura, tante nazioni, anche più importanti di noi ci guardano e ci fanno domande. Sui nostri giovani sento solo delle belle parole. Abbiamo creato un buon sistema, semplice ed efficace, tanto che nazioni importanti hanno osservato e si sono affidate anche ai nostri allenatori».

In Val Martello, il biathlon italiano ha salutato Nicole Gontier che ha dato il suo addio alle gare. Qual è il suo pensiero su questa atleta?
«Nicole è un'atleta e ragazza che ci ha regalato sempre emozioni forti con le sue gare, donna autentica e molto tenace.
Fondamentale nel gruppo per il suo carattere e la sua vivacità, con cui sapeva sempre alleggerire le situazioni che stavano appesantendo il clima della squadra. Incisiva e importante nel mantenere l'equilibrio delle dinamiche del gruppo, che ha sempre messo al centro di tutto, a volte anche a suo discapito. Si è presa delle belle soddisfazioni con risultati importanti, ma se ne meritava molti di più. Ci ha insegnato molto in questi anni, in particolare modo con il suo stile nell'accettare ed affrontare le sconfitte, guardandole sempre dritte negli occhi, a testa alta e con onore. Per me questo vale più di 100 medaglie. È più difficile saper perdere che saper vincere.
Penso che ha dato il massimo nella sua carriera, ha sempre lavorato per superare i propri limiti e lascia sicuramente l'agonismo con la certezza di aver provato a dare tutto, non si è mai risparmiata. Qualsiasi cosa farà da qui in avanti si prenderà sicuramente delle belle soddisfazioni, per le sue capacità e per l' entusiasmo che mette  in campo. La ringrazio per la pazienza e per il contributo importante che ha dato nella crescita di questi anni del Biathlon italiano»
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Giorgio Capodaglio

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