Sci di fondo | 14 maggio 2021, 11:59

Sci di Fondo - Erik Benedetto, personal trainer di Pellegrino: "La sua motivazione fa la differenza"

Intervista ad Erik Benedetto che, dopo essere stato il preparatore atletico della nazionale italiana per quattro anni fino al 2018, è tornato a lavorare con Federico Pellegrino a titolo personale la scorsa primavera

Sci di Fondo - Erik Benedetto, personal trainer di Pellegrino: "La sua motivazione fa la differenza"

La scorsa primavera Federico Pellegrino ha optato per un ritorno al passato, intraprendendo una collaborazione personale con Erik Benedetto, preparatore atletico della nazionale azzurra fino alla stagione 2017/18. Il valdostano delle Fiamme Oro aveva notato di non avere più quelle sensazioni di brillantezza che aveva avuto nel quadriennio precedente e le cercava soprattutto in skating con un obiettivo chiaro nella testa: Pechino 2022. Nel mese a cavallo tra dicembre e gennaio, pur non potendo misurarsi direttamente contro Klæbo, l’azzurro ha visto che la scelta ha pagato, vincendo le sprint in skating di Davos, Dresda e Val Müstair. «Quest’anno volevo ritrovare le mie sensazioni passate – ha affermato l’azzurro in un’intervista rilasciata alla FIS per celebrare il suo successo nella Coppa del Mondo sprintne avevo bisogno per lavorare sulla prossima stagione. Le ho avute ed era ciò che mi serviva, ancor prima dei risultati. Sono tornato a lavorare con il preparatore atletico che avevo avuto fino a Pyeongchang, riprendendo ad allenarmi molto in palestra. Questo tipo di lavoro mi ha aiutato molto in questa stagione e sono convinto che lo farà di più nella prossima».

Parole che fanno certamente piacere ad Erik Benedetto, che due anni dopo aver concluso la sua avventura con la nazionale italiana alla fine della stagione 2017/18, dopo un emozionante quadriennio olimpico al fianco di Chenetti, è stato chiamato da Pellegrino per diventare il suo personal trainer. Un accordo personale tra i due che si stimano.

Ciao Erik. Partiamo da un anno fa. Che effetto ti ha fatto essere chiamato da Pellegrino due anni dopo l’addio alla nazionale?
«Mi ha fatto piacere, l’ho visto come un riconoscimento del lavoro svolto nei quattro anni in cui siamo stati assieme in nazionale. All’inizio abbiamo avuto diversi lunghissimi incontri, anche perché non avevo mai collaborato con Stefano Saracco. A Pellegrino ho subito esposto alcune cose che avevo pensato, gli ho detto su cosa secondo me avrebbe dovuto lavorare e gli aspetti da migliorare. Nei due anni precedenti, anche se non ero più il suo preparatore, guardando le gare pensavo sempre come avrei potuto lavorare con lui per aiutarlo a migliorare ancora, quali metodologie d’allenamento introdurre rispetto al passato. Quando mi ha chiamato per propormi di lavorare con lui, gliel’ho riferito e gli ha fatto piacere, perché Chicco vuole questi feedback, se gli fai notare qualcosa in cui deve migliorare, lo stimoli a colmare tale mancanza. Con Saracco ci siamo trovati subito, ci siamo sentiti ogni settimana e trovato dei punti d’accordo. Siamo riusciti ad integrare perfettamente i nostri programmi, grazie ad uno scambio di informazioni costante. Ma avevamo veramente pianificato tutto alla perfezione con tre lunghi incontri, nei quali avevamo parlato di tutto. Pellegrino aveva chiarito subito ciò che voleva, lo aveva ben chiaro dopo aver analizzato le proprie gare. Ad esempio voleva recuperare la velocità del bacino».

Immagino sia d’aiuto un atleta con le idee così chiare.

«Lui sa cosa vuole, è una persona molto esigente e vuole anche ricevere tante spiegazioni. Vuole capire i lavori che fa, conoscere, sapere cosa sta facendo e perché ciò è utile. Ha bisogno poi di sentire che il suo corpo sta rispondendo bene, perché ciò gli dà fiducia al cento per cento. Pellegrino ti aiuta tantissimo perché si sente, capisce come il suo corpo sta rispondendo agli stimoli che gli vengono proposti. Per chi fa il mio lavoro è come avere in mano una Ferrari».

Come è possibile far migliorare ancora, a quasi 31 anni, un atleta già vincente come Federico Pellegrino?
«La leva da utilizzare per far migliorare un atleta è la motivazione. Pellegrino ne ha tantissima e quest’anno ancora di più, come dimostra la scelta di allenarsi con la squadra russa. Non so quanto possa migliorare ancora, ma so che ha dei margini perché la motivazione fa tantissimo, è la sua arma vincente. Da parte mia, dovrò trovare sempre il lavoro e la metodica in grado di stimolarlo, variare molto il programma, senza proporre delle schede troppo a lungo. Sarà importante modificare esercizi e tempi di esecuzione, sempre con la massima precisione. Più un atleta è evoluto, più devi trovare cose stimolanti per lui. Lo migliori se cambi i parametri. Per esempio nell’ultimo anno gli ho proposto degli esercizi sulla coordinazione, facendogli fare dei lavori impugnando un bastone e senza carico. Una cosa che gli è servita tantissimo, lo ha motivato e terremo anche quest’anno. La strategia fondamentale è dare dei presupposti fisici indispensabili perché poi l’atleta sui gesti motori specifici dia il meglio di sé. La ripetizione di questi gesti in palestra dovrebbe stimolare questi comportamenti motori, che poi l’atleta deve adattare al gesto tecnico. La difficoltà spesso è trovare delle correlazioni tra il lavoro in palestra e sugli sci».  

Il vostro è un programma con un piano biennale. L’obiettivo è stato impostato fin dalla scorsa estate sulle Olimpiadi di Pechino.
«Quando mi ha chiamato, Chicco è stato subito chiaro: l’obiettivo sono le Olimpiadi, alle quali vuole arrivare scattante, brillante e veloce come si sentiva fino al 2018. Dal mio punto di vista, mi auguravo che qualcosa si vedesse già quest’anno in quanto è inevitabile pensare di ottenere ottimi risultati quando osservi il modo in cui Chicco si allena, la sua precisione, come mette in pratica ogni correzione, la sua attenzione e la capacità di sentire il proprio corpo perfettamente. Speravo arrivassero i risultati già quest’anno e così è stato. Magari le prime volta in palestra sembrava meno preciso rispetto a quanto ricordassi ed abbiamo lavorato subito su questo, cercando di pulire i suoi movimenti sotto carico. Ovviamente ci ha messo poco a farlo. La strategia vincente è stata però combinare tutti gli allenamenti assieme a Stefano Saracco, come facevo già con Chenetti. Abbiamo così collegato il lavoro di resistenza che voleva fare lui con questo di forza. Non è mai una cosa semplice, ci sono regole da rispettare. Meglio si intrecciano le due programmazioni e più forte va l’atleta. Al centro c’è sempre lui, l’atleta, noi dobbiamo vestirgli addosso il programma perfetto».
    
Tornando allo scorso anno, a complicare le cose ci ha pensato l’infortunio estivo. È stato difficile superare quella difficoltà?
«Quello è qualcosa che non è mai preventivato. È arrivato ad agosto quando lui già stava benissimo, mi dava ottimi feedback, diceva di avere sensazioni che gli erano mancate negli ultimi anni. L’infortunio è un fulmine a ciel sereno perché fa saltare tutti i piani. A quel punto è fondamentale ingegnarsi perché un atleta di quel calibro possa continuare ad allenarsi e nel frattempo recuperare in maniera ottimale. Ci siamo seduti al tavolo assieme a Chicco, Saracco, Savoye e il medico che lo aveva in cura, mettendoci al lavoro tutti assieme. Anche in questo caso è stato un lavoro di squadra. Abbiamo cercato di farlo allenare senza sovraccaricare la parte infortunata. Lavoravamo solo su una gamba, ben sapendo che comunque c’era un transfert dei benefici anche all’altra. Tanto allenamento in acqua e sulla parte alta. Ho aggiornato le schede di forza settimanalmente, man mano che migliorava venivano introdotti altri allenamenti, rispettando sempre il recupero dall’infortunio. Anche in questo caso, però, la differenza l’ha fatta lui, perché era motivatissimo, voleva recuperare al più presto e tornare più forte di prima. Il campione si vede da queste cose, quando c’è un infortunio, lui si tuffa in acqua oppure fa una seduta in palestra sempre super motivato. Lui voleva recuperare nel miglior modo possibile e noi abbiamo lavorato sfruttando quella leva. Dopo l’infortunio Chicco era mentalmente ancora più forte. Paradossalmente quell’episodio sfortunato ci ha permesso di lavorare anche meglio sulla forza».

Personalmente cosa hai provato quando hai visto Pellegrino imporsi a Davos?
«In realtà, seppur dalla tv, già a Kuusamo avevo visto un Pellegrino brillante e molto veloce in salita. A Davos ne ho avuto la conferma. Per me è stata una grande soddisfazione da condividere con lui e tutto il team. I risultati ottenuti da Federico hanno dimostrato che il lavoro di squadra che abbiamo fatto con Stefano Saracco è stato vincente».

Peccato non averlo visto all’opera contro Klæbo in skating.
«Quel giorno a Davos ci pensavo anch’io, ero rammaricato di questo. Avrei tanto voluto vederlo contro Klæbo. Ne avremo occasione alle Olimpiadi, alle quali vogliamo portarlo nella miglior condizione possibile. Tutto il lavoro è finalizzato a quell’appuntamento».

Federico Pellegrino ha deciso di allenarsi con la nazionale russa e Markus Cramer. A questo punto quel lavoro di combinazione dei programmi dovrai farlo anche con lui.
«Si dovrò farlo anche assieme a lui, perché questa parte è fondamentale. Questa strategia è stata creata insieme a Chenetti ed è sostenuta da una base scientifica. L’abbiamo rodata per quattro anni e ritengo che sia la strategia vincente che cercherò di applicare con i principi che ha Cramer, intrecciandomi con lui».

Giorgio Capodaglio

Ti potrebbero interessare anche: