Non sono giorni facili, a Casa Norvegia. Da metà gennaio le notizie negative sul fronte delle positività al Coronavirus si sono inseguite e succedute, con il primo grosso caso scoppiato durante il raduno sull’Alpe di Siusi e che ancora trattiene in Alto Adige Heidi Weng, Krüger e Kalvå.
Anche Therese Johaug era in ritiro sull’amato altopiano sudtirolese e non appena scattato il piano di emergenza per salvaguardare la salute sua e quella di Johannes Klæbo si è aperta una seconda partita, quella del timore di incappare nel contagio.
"Confesso che l’ultima settimana è stata segnata da molta paura – racconta Johaug al network norvegese NRK dal villaggio olimpico di Pechino, raggiunto nella serata di ieri – tanto che di notte condivido con l’incubo ricorrente di essere a mia volta positiva".
Il titolo olimpico individuale è il traguardo che ancora manca alla trentatreenne norvegese, medaglia d’oro a Vancouver 2010 con la staffetta Norge e poi due volte sul podio a Sochi, prima grazie al bronzo nella 10km e quindi con l’argento nella 30km finale, in un’edizione funestata dalla scomparsa di Sten Anders Jacobsen, fratello di Astrid a cui Therese era molto legato.
"Avrei voluto esserci anche a PyeongChang ma mi sono dovuta accontentare di seguire le gare in Tv dall’Alpe di Siusi" ha commentato ieri, facendo riferimento alla sospensione per doping rimediata dopo la controversa positività del settembre 2016.
Insomma, Vancouver a parte non si può certo dire che i ricordi a cinque cerchi di Johaug siano particolarmente sereni e lo stress di queste giornate trascorse sul filo del rasoio e nella costante incertezza non aiutano di certo. Tra un giorno e mezzo scatterà l’ora del debutto: una volta immersa nello skiathlon di sabato mattina, forse anche Johaug potrà tornare a pensare solo a gareggiare.
Sci di Fondo – “Di notte ho l’incubo di essere positiva”, i timori di Therese Johaug a Pechino

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