Biathlon | 20 dicembre 2023, 19:55

Biathlon - La consapevolezza di Didier Bionaz: "Ora ho un approccio diverso alle gare. Vi svelo il mio sogno: una medaglia con la staffetta maschile"

Foto credit: Dmytro Yevenko

Foto credit: Dmytro Yevenko

Sei volte nella top venti in otto gare, una continuità che non aveva avuto nelle precedenti stagioni di Coppa del Mondo, il miglior risultato in Coppa del Mondo eguagliato (13° posto come ad Anterselva 2021), ma soprattutto una solidità che dimostra un salto di qualità avvenuto e tutt’ora in corso.
Probabilmente Didier Bionaz sognava un inizio così, quando lo scorso novembre lasciava la sua Valle d’Aosta in direzione Östersund per affrontare la nuova stagione. Tornato a casa dopo le prime tre tappe, una top ten sfiorata più volte, il diciannovesimo posto nella classifica generale, Bionaz ha risposto alle domande di Fondo Italia per analizzare il suo momento.

Ciao Didier. Intanto ben tornato a casa. Partiamo dalla fine. Quanto è stata stancante la tappa di Lenzerheide, tra percorso duro, quota e soprattutto le fatiche accumulate nelle settimane precedenti?

«È stata molto dura sia fisicamente che psicologicamente. Venivamo da quattro settimane di competizioni, undici gare in ventitre giorni, che sono tante. Quando si affrontano questi blocchi, è dura fisicamente e mentalmente, perché devi restare sempre concentrato, ogni giorno pensare a cosa migliorare nel tuo lavoro, come non ripetere certi errori. Ciò è stancante, ma alla fine è molto bello, è ciò che amiamo. Per esempio, già oggi che sono a casa, si sono contento di essere tornato, però, seppur stanco, farei ben volentieri un altro weekend di gare se me lo chiedessero (ride, ndr)».  

È ancora fresco il ricordo della mass start di Lenzerheide, nella quale ti sei trovato addirittura nel gruppo di testa insieme ai campioni della Norvegia e successivamente hai sparato ancora una volta per le posizioni di vertice. Descrivici un po’ ciò che hai provato durante la gara.

«È stato emozionante. Dopo la prima serie a terra, non credevo che il gruppetto si ricompattasse così, pensavo scappassero subito, tranne Jacquelin che aveva fatto un primo poligono folle. Dopo la seconda serie a terra è stato bello, quando uscendo dal poligono mi sono trovato con Johannes Bø. Ho pensato di provare ad attaccarmi, siamo anche rientrati su Dale e Tarjei Bø e fatto il giro assieme, fino a riprendere anche Jacquelin. Allora mi sono detto: “Proviamoci”. Ho tentato di sparare più velocemente in piedi rispetto ai miei standard, ho pensato che trattandosi di una mass start e trovandomi lì, dovevo provarci. In quel contesto di gara non puoi stare troppo a pensare, perché gli altri sparano velocemente e devi adattarti. Peccato i due errori, ma è stato emozionante essere lì. Poi nell’ultimo giro mi sono trovato con Ponsiluoma, che però andava veramente troppo forte e l’ho lasciato andare. Ormai Martin è il mio compagno di viaggio stagionale, praticamente ci siamo trovati insieme per almeno un giro in ogni gara sull’uomo da Östersund a oggi (ride, ndr).
Comunque è stata un’esperienza importante, mi dà anche una prospettiva diversa per il futuro, perché ora so che se miglioro qualche aspetto, con un po’ di fortuna anche io posso fare il colpo grosso».


Ricordo che a Östersund mi dicesti di aver sentito un po’ l’emozione quando ti eri reso conto di essere in una posizione alta di classifica. È accaduto lo stesso anche a Lenzerheide?

«No. A Fabio (Cianciana, ndr), dopo la gara ho detto che mi sto abituando a essere lì nei dieci, che sto arrivando a sparare con maggiore tranquillità. Sento di non avere più quella paura che si ha nel pensare di dover prendere per forza tutti i bersagli. Piano piano si impara, sono convinto che queste esperienze saranno molto importanti per il futuro, perché sei li davanti e impari a gestire la gara. Ci sono aspetti su cui migliorare, anche tatticamente, perché per esempio sabato mi sono fatto fregare da Jacquelin sull’ultima salita. Magari ti capita che perdi la posizione, ma la volta successiva non succede più, perché impari. Ciò fa parte della crescita».

Quando a novembre hai lasciato la Valle d’Aosta, ti saresti aspettato di tornare a casa con sei top venti e il diciannovesimo posto nella generale? Quanto sei orgoglioso di ciò che stai facendo?

«No, non immaginavo di tornare con questi risultati, magari una, due o tre top venti, ma trovare una costanza tale da restare quasi sempre lì, per me è una grande soddisfazione. Il mio obiettivo era proprio di cercare questa continuità e stare tra i migliori venti. Ci sono riuscito, senza fare delle gare perfette ed è proprio quello che mi piace di più, perché c’è un bel margine di miglioramento e si possono ottenere risultati migliori. Sono orgoglioso soprattutto se penso a un anno fa, quando in questo periodo ero sotto a un treno, mentalmente e fisicamente. È bello arrivare alla pausa natalizia con tranquillità e un mood positivo».

Ho notato che nella mass start di Lenzerheide hai anche velocizzato i tuoi tempi di esecuzione.

«Quando stai fisicamente bene, puoi permetterti anche di cambiare l’approccio al poligono, si passa da quello difensivo, perché sai che se sbagli non vedi l’inseguimento, a uno più offensivo, che ti porta a provarci, con la consapevolezza che con un errore o due arriva ugualmente un buon risultato. Una maggiore tranquillità al poligono ti porta ad avere un approccio alla gara diverso, perché la fiducia aumenta. Ora per Natale ho l’idea di lavorare su un paio di cose per fare uno step in più a gennaio. Non è semplice, ma vale la pena provarci».  

Su cosa lavorerai?

«Facile, velocizzare il tiro (ride, ndr). In generale, però, devo migliorare il mio tiro in piedi, che mi ha già precluso diverse top dieci in questo inizio di stagione. A terra, invece, le cose vanno bene, perché tolto l’inseguimento di Hochfilzen e le staffette a Östersund, non ho mai sbagliato. La precisione c’è, ma devo velocizzare un pelo. Ma ti dico una cosa che ho imparato dalla mia esperienza nelle gare sull’uomo. In queste competizioni, a terra conta prima di tutto chiudere i bersagli, la precisione paga tantissimo. Se hai due zero a terra, allora te la giochi poi nelle serie in piedi. Sono sicuro di quello che sto facendo, solo in Austria non avevo avuto un buon feeling a terra, una giornata storta».

Cosa è cambiato rispetto allo scorso anno? Dove è nato questo evidente step che hai fatto nella prima parte di questa stagione?

«Credo che il grosso cambiamento l’ho fatto a livello mentale. Lo scorso anno avevo delle difficoltà che mi facevano consumare troppe energie ancora prima della gara. Quando le cose iniziano male, rischi che poi vadano peggio, perché sei sempre alla ricerca del risultato e, come dice giustamente il nostro allenatore Fabio Cianciana, finisci per voler prendere le cose con la forza, ovviamente senza riuscirci. Lo scorso anno avevo diversi problemi e mi ero fatto prendere dall’ansia, che mi ha fatto sprecare energie ed essere vuoto anche fisicamente. Quest’anno ho lavorato tanto su quell’aspetto e ha funzionato.
Mettiamoci anche il grande lavoro che abbiamo fatto in estate con Zattoni, anche negli anni scorsi. Magari esso non ha pagato subito, ma ora sta dando i suoi frutti e ho messo una base importante per il presente ed il futuro. La cosa fondamentale però è essere sereno e tranquillo con me stesso, perché quando un
atleta si gode le gare diventa tutto più semplice».

In chiusura ti chiedo un pensiero sull’intera squadra maschile. Giacomel si è confermato ad alti livelli, Hofer è tornato subito con ottimi risultati ed anche Braunhofer e Zeni stanno trovando la giusta continuità. Dove può arrivare questo gruppo?

«Sono contentissimo di quanto abbiamo fatto nelle prime tappe. Adesso siamo quarti in coppa per nazioni, una posizione importante per l’Italia maschile, qualcosa che non è successo molto spesso in passato. Credo che non sia nemmeno capitato tanto spesso negli anni passati di vedere cinque italiani a punti. Ciò è la testimonianza di un lavoro che sta funzionando e dobbiamo portare avanti. Già nel corso dell’estate, durante la preparazione, eravamo consapevoli di avere tutti buon livello. Sono contento che Luki (Hofer, ndr) e Tommy (Giacomel, ndr) siano sempre due certezze. Sono tanto felice anche per Brauni (Patrick Braunhofer, ndr) ed Elia (Zeni, ndr), in particolare il primo, per come ha svoltato dopo Östersund. Sapevamo che in Svezia, Braunhofer non aveva mostrato il suo reale livello, per quello che aveva fatto vedere nel corso della preparazione estiva e l’autunno. Mi dispiaceva molto vederlo faticare così. Elia ha un grandissimo talento e si sta ambientando molto velocemente Coppa del mondo.
Come squadra ci siamo e possiamo migliorare. Ciò è molto importante, visti gli appuntamenti che avremo nei prossimi anni. Siamo una squadra bella e unita, ciò mi piace molto. Sono particolarmente contento dei risultati delle staffette, perché se devo svelare il mio sogno più grande da atleta, è vincere una medaglia nella staffetta maschile in un grande evento, perché non è una cosa che si vede spesso in Italia. Tutta la squadra ha fatto delle ottime performance, sarebbe ancora più bello se riuscissimo a raccogliere un grande risultato tutti insieme».

Giorgio Capodaglio

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