Sci di fondo | 07 aprile 2024, 19:01

Nello sci di fondo c'è un progetto che funziona. L'ottimo esempio della nazionale juniores, protagonista di una bella stagione, non solo per i successi

Nello sci di fondo c'è un progetto che funziona. L'ottimo esempio della nazionale juniores, protagonista di una bella stagione, non solo per i successi

Due giorni dopo la conclusione dei Campionati Italiani Giovanili, Maria Gismondi e Manuela Salvadori sono ancora a Pragelato, ospiti a casa della compagna di squadra Beatrice Laurent. Ridono, scherzano, organizzano una simpatica gita a Torino. Un bel modo per chiudere una stagione che le ha viste passare tanto tempo insieme nella nazionale juniores dell’Italia.
Nel frattempo, sui social, Davide Ghio ed Aksel Artusi, così come i loro compagni di squadra, salutano la stagione agonistica con un bel post che non è solo il classico riassunto dei risultati, una sorta di resoconto della stagione agonistica, ma è il racconto di un’esperienza, di un anno di vita passato con i propri compagni di squadra, dell’esaltazione di uno splendido gruppo.



Fotografie di una stagione terminata con il sorriso dagli atleti della squadra juniores che hanno vissuto un anno importante, nel quale hanno fatto esperienza, ma hanno scoperto anche cosa significa essere gruppo. Merito agli allenatori Matteo Betta e Stefano Corradini, del loro collaboratore Fabio Pasini, che hanno puntato tanto su questo aspetto, ben consapevoli di quanto ciò faccia la differenza, soprattutto quando si passa tanto tempo assieme, e del responsabile del settore giovanile Paolo Rivero, che in pochi mesi, la scorsa estate, ha fatto partire un progetto a lungo termine che già alla prima stagione ha portato risultati di rilievo.



Già, perché ovviamente, al di là dell’amicizia di un gruppo unito, sono arrivati soprattutto risultati di alto livello, quello che più conta, e progressi, quello che viene chiesto a una squadra giovanile che è appena al di sotto dell’alto livello. Diversi podi e vittorie in FESA Cup, il titolo mondiale vinto da Maria Gismondi nella mass start da 20 km a Planica, il primo al femminile dopo 35 anni, l’argento di Artusi e il bronzo di Ghio nello stesso format, poi il bronzo mondiale della staffetta mista, dove a completare il gruppo vi era anche Iris De Martin Pinter, allenata da Pasini nella Milano-Cortina 2026.
Ma oltre alle medaglie e ai successi, arrivati anche tra le difficoltà, se si considera che Artusi è stato frenato dalla mononucleosi, vi sono stati gli evidenti progressi di molti atleti del gruppo, che in estate sembravano essere più indietro rispetto ad altri. In particolare hanno colpito quelli avuti da Virginia Cena e Beatrice Laurent, capaci di salire di livello nel corso della stagione, accorciando costantemente il gap dalle altre, fino a ottenere podi in Italia e FESA Cup, disputare un bel Mondiale Juniores e anche vincere, come ha fatto Laurent in FESA Cup Junior a Dobbiaco.
Sono cresciuti tanto anche altri azzurri, come per esempio il 2005 Matli, sempre più competitivo nel corso dell’anno. Un po’ tutti, però, sono riusciti a fare dei passi avanti, segno dell’ottimo lavoro svolto dai tecnici azzurri e della bontà del percorso avviato.



Un progetto nuovo, partito anche in ritardo, soltanto nel mese di giugno, in quella che era stata l’ennesima ricostruzione dello sci di fondo italiano.
Paolo Rivero ha avuto poco tempo per scegliere gli allenatori, affidandosi ai trentini Betta e Corradini, alla prima esperienza da coach della nazionale, ma che avevano già lavorato insieme nel forte Comitato Trentino, confermando Fabio Pasini, qualcosa in più di un responsabile materiali. È poi arrivata la decisione di utilizzare la Val di Fiemme quasi come centro federale, con gli atleti che hanno passato molto tempo nella splendida località trentina, con lunghi raduni, sfruttando in particolare la caserma delle Fiamme Gialle.



Nonostante la partenza in ritardo, infatti, gli azzurrini hanno svolto ben 86 giornate di raduno, appena 5 a giugno, ma ben 19 sia a luglio che agosto, 13 a settembre, dove vi erano anche gare, 18 ad ottobre e 12 a novembre. Da sottolineare, però, che anche una volta partita la stagione, nella quale ovviamente non tutti potevano prendere parte alla FESA Cup Junior, vi sono stati altri 29 giorni di raduno, 6 a dicembre, 11 a gennaio in preparazione dei Mondiali Juniores, poi 2 a febbraio e 10 a marzo. In questa maniera, i giovani azzurrini hanno avuto la possibilità di restare sempre a contatto con gli allenatori di riferimento anche nel corso della stagione, senza sentirsi abbandonati a loro stessi in caso di mancata partecipazione alla FESA Cup Junior, cosa che quando accade fa spesso perdere agli atleti motivazioni. Certo, poteva essere un bel sacrificio, quello richiesto ai giovani, in particolare per i 2005 ancora alle prese con la scuola, ma è una politica che risultati alla mano ha pagato e ha accompagnato, in quello che dovrebbe essere l’obiettivo finale della squadra juniores, questi atleti verso il passaggio tra i senior, aprendo loro le porte del professionismo.
Un seguito quotidiano, quello pensato da Rivero, insieme a Betta e Corradini, che non ha stancato mentalmente gli atleti, tanto che tutti sono rimasti entusiasti anche dell’ultimo raduno svolto a marzo a Passo di Lavazè.



Finalmente nello sci di fondo italiano si è deciso di fare qualcosa di nuovo, di creare una sorta di centro federale dove crescere seguendo quotidianamente quei giovani ormai vicini al passaggio all’alto livello, migliorarli non soltanto dal punto di vista tecnico e organico, ma anche nell’intelligenza tattica, nell’atteggiamento mentale in gara e allenamento, nella gestione delle energie nel corso della competizione, ma anche nell’imparare a recuperare bene.

L’impressione è che sia partito un progetto importante, che ha subito portato dei buonissimi risultati ma che ovviamente verrà giudicato nei prossimi anni, in quanto, ormai ben avviato, avrà avuto continuità almeno di altre due stagioni. Nella speranza che nell’instabilità tipica dello sci di fondo italiano, che ci auguriamo possa presto avere un direttore tecnico al quale venga consentito di lavorare senza essere solo l’ennesimo capro espiatorio, qualcuno non si faccia prendere dalla folle idea di cambiare nuovamente tutto. Non servirebbe a niente, non migliorerebbe le cose, creerebbe solo confusione, quella ormai presente da quasi un ventennio e che ha rovinato generazioni di atleti. Questo progetto giovanile ha dimostrato che affidarsi a persone giovani e con idee nuove, paga. Lasciamo loro spazio.

Giorgio Capodaglio

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