“È ossessionato, ma nel senso positivo del termine. Una dedizione così, è rara”. Sono queste le parole utilizzate da Florian Steirer, allenatore tedesco di biathlon, per definire la mentalità vincente di Florian Lipowitz, grande protagonista al Tour de France dove nella giornata di oggi ha ufficialmente centrato il terzo posto nella classifica generale, nonché il pettorale bianco di miglior giovane. Risultati che spingono a pensare che la scelta di spostarsi dal biathlon al ciclismo sia stata la migliore per l’atleta tedesco, passato nei suoi primi anni al poligono proprio sotto la guida di Steirer.
Fisico longilineo e grandi capacità di resistenza, la consacrazione definitiva di Florian Lipowitz tra i migliori ciclisti del panorama mondiale ha trovato compimento proprio oggi, al termine dell’ultima tappa della Grand Boucle, con arrivo sugli Champs-Élysées di Parigi dopo una doppia risalita di Montmartre. Un percorso che cristallizza così le posizioni nella classifica generale, dove Lipowitz chiude al 3° posto alle spalle di un dominante Tadej Pogacar e di un altrettanto extraterrestre Jonas Vingegaard. Dietro ai due fenomeni c’è proprio lui: con 11 minuti dalla maglia gialla, il tedesco della RedBull Roba Hansgrohe si prende la maglia bianca, tenuta al sicuro dai tentativi di attacco dello scozzese Oscar Onley. Un risultato sorprendente e assai notevole, se si considera che per Lipowitz si trattava della primissima esperienza sulle strade del Tour de France.
Eppure i piani iniziali di Lipowitz non contemplavano il ciclismo come primo obiettivo di carriera, bensì prevedevano il biathlon come via maestra. Fino a 6 anni fa, infatti, il tedesco si destreggiava carabina alla mano in compagnia del fratello maggiore Philipp, che a differenza di Florian è rimasto fedele al poligono, e per investire nel biathlon aveva persino deciso di trasferirsi a Seefeld (Austria). Iscrittosi alla scuola di Stams, Lipowitz era poi venuto a contatto con il tecnico Florian Steirer, che ora lo ammira da lontano nelle sue imprese ciclistiche.
Interpellato dalla testata tedesca Merkur, Steirer traccia un profilo di Lipowitz, confermando la sua predisposizione al successo in sport di fatica: “Se sono sorpreso dei suoi risultati al Tour? Zero, per niente. Ha tutto quello che serve per questo tipo di performance. Lo sappiamo da tempo. Non c’è da stupirsi: è uno sport di resistenza. Lui e suo fratello Philipp erano tra gli atleti più tenaci – ricorda Steirer – Ma non è solo questo. Quella era la loro vita, la vivevano. Provengono da una famiglia con una grande passione per lo sport. Fin da bambini, facevano lunghe pedalate attraversavano le Alpi in bicicletta”.
A fare la differenza, secondo il tecnico passato anche dalla guida della squadra nazionale femminile di biathlon, è la mentalità di Lipowitz, coltivata in maniera vincente fin da bambino: “Si è allenato duramente fin da giovanissimo, ma non lo considerava allenamento. Molti atleti, in una giornata no, decidono di prendersela comoda, mentre lui non aveva alcuna familiarità con questo. È un’ossessione, nel senso migliore del termine. Raramente si vede una tale concentrazione. Ho lavorato con diversi atleti come allenatore e non so spiegare bene cosa sia, ma alcuni erano diversi dagli altri. Due di questi erano due campionesse del mondo, Denise Herrmann e Laura Dahlmeier. E uno era Flo”.
E chissà, se avesse proseguito nel biathlon magari oggi parleremmo di lui in un’altro contesto, magari quello della nazionale tedesca. Anche perché, conferma Steirer, il suo sviluppo fisico è arrivato in ritardo rispetto a molti coetanei, ma il talento al poligono non mancava di certo: “A Stams ci sono test di prestazione al tiro. Chi pensi che detenga ancora il record di tiro a terra? È Florian Lipowitz. Credo che abbia colpito 292 bersagli su 300 possibili. Ha avuto un duello molto interessante con Danilo Riethmüller. Lui si è sviluppato fisicamente presto, Flo più tardi”. Ma il destino (e i dati dei test in bicicletta) gli hanno suggerito un’altra strada. Una strada impervia, lunga oltre 3mila chilometri con più di 50mila metri di dislivello. Una strada che l’ha portato dalle piste da sci al podio del Tour de France, regalando alla Germania una top 3 a Parigi che mancava dal lontano 2006.