Nello scorso mese di aprile, si è concluso il processo in primo grado a carico dello stalker di Frida Karlsson. L’uomo, uno svedese 65enne, accusato di aver effettuato oltre 200 chiamate all’indirizzo della campionessa, oltre ad avere sul telefono circa 7 mila foto dell’atleta, era già sottoposto a un ordine restrittivo: ad aggravare la posizione dell’imputato, infatti, anche alcune apparizioni sotto casa della fondista e messaggi insistenti sul telefono personale.
La sentenza, emessa dal Tribunale distrettuale di Ångermanland, ha dichiarato l’uomo colpevole di persecuzione illegale (stalking), sottoponendolo a un periodo di libertà vigilata della durata di 2 anni (con sospensione della pena), e stabilito altresì un risarcimento di 40 mila corone svedesi (poco più di 3500 euro) per l’atleta.
L’azione legale ora però si sposta in appello. Secondo il pubblico ministero, infatti, la condanna è stata troppo blanda per il reato commesso. “La sentenza con sospensione della pena è troppo clemente” ha scritto Christina Edlund Nilsson nel suo ricorso alla Corte d’appello. La procuratrice sostiene che gli eventi “singolarmente sembrano meno gravi, ma visti nel contesto costituiscono una tangibile violazione dell’integrità e della privacy, come nel caso in questione” e che quindi la pena non riflette la gravità del reato e pertanto richiedano la detenzione del colpevole. A sua volta, il 65enne ha presentato ricorso contro la sua condanna per stalking, chiedendo di essere assolto. Il legale dell’uomo, Thomas Bodström, riferisce invece alla Corte d’appello del Basso Norrland che il reato non è stato provato.