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Oltre il ritiro: lo sport femminile riscrive le regole della maternità

Questa domenica, la seconda del mese di maggio, come da tradizione in gran parte del mondo occidentale si celebra la festa della mamma. Una giornata in onore delle figure materne e del ruolo sociale delle madri, che in una società complessa come quella del 21esimo secolo sta assumendo una valenza nuova così come forme nuove di fronte a stili di vita che, per necessità ma anche per piacere, non impongono più alle donne rinunciare al proprio lavoro e alla propria carriera per dedicarsi alla crescita dei figli.

E questa “rivoluzione” della figura materna, già affermata ormai da diversi anni in pressoché tutti gli ambiti lavorativi, sta poco alla volta diventato sempre più la norma anche nell’ambito sportivo, ultimo baluardo di quella tradizione che voleva le donne chiudere la loro carriera agonistica per realizzare il desiderio di maternità.
Oggi invece, grazie a filosofie di allenamento differenti, la ricerca scientifica a supporto della medicina e dello sport, sempre più atlete mettono solo in pausa le loro imprese sportive, come molte donne che nella vita “civile” prendono una pausa maternità al lavoro. Diverse sono inoltre le evidenze scientifiche che hanno dimostrato come gravidanza e allattamento possano anzi apportare benefici alle atlete che tornano presto all’attività agonistica. Qualcosa sta cambiando negli ultimi anni, ma ancora troppo lentamente, anche grazie a un attivismo sempre più corale anche di professioniste di fama internazionale in tantissime discipline sportive, a partire dalle tenniste Serena Williams, Naomi Osaka, dalla velocista Allyson Felix fino alla mezzofondista Alysia Montaño, atlete che all’apice della loro carriera hanno deciso di prestare la loro voce e la loro visibilità alla causa.

Negli sport invernali due esempi eclatanti, nelle ultime stagioni, sono rappresentati sicuramente da Justine Braisaz Bouchet nel biathlon, che nella stagione del rientro dopo la maternità ha conquistato il titolo mondiale nella Mass start a circa un anno dalla nascita della prima figlia, ma anche da Therese Johaug che nello sci di fondo è stata protagonista di una stagione di altissimo livello – nonostante sia mancato l’oro che cercava – a poco più di un anno dalla nascita della figlioletta e sta ora riflettendo se, a 37 anni, continuare ancora verso un’ultima Olimpiade.

Ma questi nomi sono solo i più altisonanti: possiamo citare anche la biathleta Baiba Bendika, medaglia d’oro agli ultimi Europei in Val Martello nell’Inseguimento, è rientrata nella stagione 2023/24 alle competizioni solo due mesi dopo il parto del piccolo Emils, continuando ad allenarsi durante tutta la gravidanza, proprio come fatto dalla “collega” tedesca Janina Hettich Walz, che prepara il rientro con i primi allenamenti a intervalli dopo una stagione di stop in attesa della piccola Karlotta, nata il 25 febbraio scorso.

Certo non è semplice coniugare la vita da atleta con quella di madre: tanti sono i sacrifici richiesti, da un lato dal corpo che ha bisogno di ritmi precisi e tanto riposo, dall’altro da piccole creature che i ritmi devono imparare ancora a costruirli e richiedono tanta energia. Un’atleta poi, soprattutto nell’élite internazionale, è chiamata a viaggiare a lungo e a stare lontana da casa tra preparazione e competizioni, talvolta spostandosi di settimana in settimana. Infine c’è la questione salute: un bambino, mano mano che avvicina l’età scolare, il rischio di malanni è praticamente all’ordine del giorno e, si sa, i malanni sono il nemico numero uno per un’atleta. Non stupisce che Johaug, con l’avvicinarsi dei Mondiali di Trondheim, ha deciso di isolarsi dalla famiglia, figlia compresa, per evitare di compromettere il lungo e duro lavoro fatto fino a quel momento. Scelte dure, talvolta non facili da comprendere e condividere, per cui è importante dunque potersi assicurare, con la propria squadra ma anche i propri familiari, una rete di supporto affinché il ritorno alla vita sportiva possa essere il più sereno possibile. A questo, dovrebbero accompagnarsi anche politiche sociali che tutelino le atlete con tutele specifiche e supporti economici, a partire da rapporti di lavoro riconosciuti e regolati per legge.

Estendendo il nostro augurio a tutte le mamme, quelle che praticano sport ad alto livello e oltre, non ci resta che confidare inoltre che, sa che la scelta sia quella di proseguire nella propria carriera, sia che si preferisca dedicarsi completamente ad un nuovo capitolo della propria vita, la passione per lo sport rimanga sempre intatto e sia condivisa con i figli, perché – al di là di una carriera agonistica – la pratica sportiva rappresenta una componente importante per lo sviluppo dei piccoli “uomini e donne” di domani, soprattutto all’aria aperta: creando competenze importanti, come l’autostima, la fiducia in sé stessi, la gestione delle emozioni e la capacità di lavorare in gruppo, che li accompagneranno sempre nel loro diventare adulti.

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