Volvo si difende dalle accuse e risponde: il truck recentemente acquistato dalla Federazione Russa di sci di fondo è stato originariamente venduto a un cliente nell’Unione Europea ed ora il caso è nelle mani delle autorità.
Il caso è scoppiato alla fine di giugno, quando la Federazione Russa di sci di fondo, capitanata da Elena Vålbe, ha dato notizia dell’acquisto del truck pubblicando anche foto sul proprio sito ufficiale. La notizia ha fatto subito scalpore, in quanto per l’invasione in Ucraina, la Russia è stata sanzionata dall’Unione Europea e di conseguenza la squadra non avrebbe potuto acqusitare questo mezzo da una nazione europea come la Svezia.
L’azienda ha subito risposto alle polemiche avviando un’indagine interna per capire come il truck possa essere stato venduto in Russia, consapevole del fatto che spesso dei loro mezzi sono arrivati nel paese responsabile dell’invasione dell’Ucraina, attraverso la rivendita che avviene in alcune nazioni del Medio Oriente o dell’Asia Centrale.
Questa volta, però, secondo quanto rivelato dalla stessa Volvo, la situazione sarebbe più grave, in quanto la rivendita sarebbe avvenuta in un paese dell’Unione Europea.
«Ciò che sappiamo ora è che la nostra analisi mostra che il camion è stato originariamente acquistato da un cliente in un paese dell’UE – ha affermato Claes Eliasson, responsabile stampa di Volvo, a Dagbladet – abbiamo quindi notificato e contattato le autorità di quel paese, chiedendo loro di avviare un’indagine».
Sembrerebbe che la società di trasporti russa Eurotruck sia responsabile della vendita alla Federazione Russa di Sci. Tuttavia, non si sa come o da chi Eurotruck abbia ottenuto il mezzo.
A Dagbladet, Volvo ha affermato di non voler entrare nei dettagli su quale Paese sia coinvolto o quali attori specifici potrebbero esserlo, come spiegato dallo stesso Eliasson: «Poiché il caso è stato ora trasferito alle autorità del Paese in questione, non vogliamo compromettere le loro indagini. Lasceremo che gestiscano il caso come ritengono opportuno».
Sul caso, Volvo si è così difesa: «Lavoriamo costantemente per garantire che i nostri prodotti non finiscano nelle mani sbagliate. Quando rileviamo qualcosa di sospetto, agiamo immediatamente».
Un caso che arriva in un periodo in cui l’azienda svedese è già finita nell’occhio del ciclone, attraverso la segnalazione da parte di diverse associazioni, che ne hanno denunciato il coinvolgimento nella tragedia palestinese a Gaza. Come sottolineato in un’intervista al The Guardian da Francesca Albanese, giurista italiana, relatrice dell’ONU per i diritti umani, Volvo sarebbe una delle aziende che pur non occupandosi di guerra ma hanno sigillato stretti rapporti con Tel Aviv.
Secondo le parole della giurista, la casa automobilistica avrebbe fornito i macchinari base che poi l’esercito israeliano ha trasformato nei caterpillar con cui demolisce case e moschee a Gaza.
Anche in questo caso l’azienda si è difesa, sottolineando che gran parte dei macchinari è stata acquistata sul mercato dell’usato, e riguardo al contratto con l’israeliana Merkavim a cui fornisce telai per l’assemblaggio di autobus, ha ribadito di vigilare sul «codice di condotta dei partner fornitori, che include specifici requisiti in materia di diritti umani».
Da sottolineare che nel rapporto viene citato anche il Norwegian Government Pension Fund Global, il fondo sovrano norvegese, che è il più grande al mondo, che da ottobre 2023 ha aumentato i suoi investimenti in aziende israeliane del 32%.
Nelle ultime ore Francesca Albanese è stata vittima di sanzioni da parte degli Stati Uniti e di un’azione mirata da parte di Israele per screditarla, attraverso l’utilizzo di Google.