In questi ultimi giorni le cronache sportive – e non solo – hanno raccontato del ritorno dei russi e dei bielorussi in Coppa del Mondo di sci di fondo sotto lo status di Atleti Neutrali Individuali. Una decisione, arrivata con la sentenza del Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) che ha reso parzialmente illegittima la scelta del consiglio FIS di non reintegrare gli atleti alle gare internazionali per la stagione olimpica.
Forte di questo successo con la FIS, anche il biathlon russo si è mosso, con l’Unione Russa di Biathlon (RBU) che ha fatto ricorso al TAS, chiamando in arbitrato l’IBU, come comunicato dalla stessa Unione Internazionale solo pochi giorni fa.
Una novità che divide l’opinione pubblica ma spesso non tiene conto di chi, il conflitto, lo vive sulla sua pelle e quella dei suoi cari ogni giorno. Una terra, l’Ucraina, che continua ad essere oggetto di attacchi missilistici ogni giorno, in cui ancora si corre nei rifugi in attesa che i missili smettano di essere lanciati e in cui chi è lontano da casa, come gli atleti, ma anche i giornalisti e i fotografi che sono ad esempio al seguito della carovana del biathlon, spera ogni giorno di poter ancora sentire i propri familiari, e di non perdere da un momento all’altro tutti i ricordi di una vita.
Chi ha vissuto e vive tuttora sulla sua pelle questa esperienza che, qui, in Europa, non possiamo davvero comprendere appieno pur sforzandoci, pur paragonandola ad altre esperienze negative che nella nostra vita possiamo aver vissuto, è sicuramente Dmytro Pidruchnyi, leader del movimento ucraino che Fondo Italia è riuscita a raggiungere ieri, al termine della staffetta maschile, e chiedendo un commento sulla vicenda.
“Penso sia una brutta situazione che ai russi sia permesso di tornare a competere. Non dovrebbe essere possibile perché in Russia lo sport è parte integrante della propaganda e gli atleti sono altrettanto responsabili di ciò che il loro Paese e il loro governo sta facendo.”
Secondo il 34enne, dunque, non si può davvero parlare di Atleti Neutrali: “Penso che non esistano atleti neutrali perché nessuno di loro parla della guerra e nessuno di loro si dichiara contrario alla guerra nel nostro Paese.”
Una guerra che non accenna a rallentare e, nonostante le promesse o i vari tentativi, non mostra segnali di distensione tra le parti. Un quadro che, alla lunga, ha conseguenze importanti e gravi anche nella vita di questi atleti, che lasciano le famiglie a casa nell’incertezza mentre il mondo, di fronte ai loro occhi, va avanti come se niente fosse in un clima festoso, come quello delle tappe di Coppa del Mondo.
“Certamente non riesco a dormire bene e non sono mai completamente concentrato a causa di ciò che accade in Ucraina tutti i giorni” racconta Pidruchnyi, la cui città, Ternopil, solo alcune settimane fa ha subito un pesante attacco. “Alcune settimane fa c’è stato un grande attacco missilistico nella mia città, diverse persone sono morte, quindi di sicuro tutto questo non mi fa bene.”
In un contesto in cui lo sport dovrebbe esprimere un linguaggio universale di unione e di pace, il ritorno degli atleti russi e bielorussi alle competizioni internazionali solleva una domanda che va oltre regolamenti e sentenze: è davvero possibile separare lo sport dalla realtà che lo circonda? Mentre si discute di neutralità, prima ancora di prendere posizioni “calcistiche” sul sì o sul no, c’è chi continua a gareggiare con il peso dell’incertezza, della paura e del lutto sulle spalle.


