Il campione norvegese Johannes Høsflot Klæbo, figura quasi familiare nel mondo sportivo norvegese entrando nelle case dei norvegesi ogni weekend invernale con le gare – e le sue vittorie – è considerato uno dei più grandi fondisti di sempre: per la prima volta, però, rivela ora un lato più familiare e meno “mitico” di sì, raccontando il dramma familiare che ha segnato la sua infanzia, vale a dire la leucemia che ha interessato suo padre Haakon quando il piccolo Johannes aveva appena dieci anni.
Questo racconto farà parte del documentario “Klæbo”, in uscita il 14 novembre, in cui l’atleta e la sua famiglia parlano apertamente di quella difficile esperienza, del loro legame e delle sfide vissute dietro il successo. “Penso che dimostri perché siamo diventati una famiglia così unita. Si diventa molto uniti quando ci si trova in situazioni come queste” spiega il campione in un’intervista rilasciata a TV2 durante il suo allenamento statunitense di questa estate “Credo che la gente possa farsi un’idea di come funziona la nostra famiglia e del perché i ruoli siano diventati quelli che sono. Ci sono alcuni aspetti che emergono e che mostrano le difficoltà che si incontrano in una famiglia, che non si possono controllare”.
Durante la lunga malattia del padre, è stato infatti il nonno, Kåre Høsflot, a farsi carico del ruolo di guida e allenatore, diventando la figura chiave nella crescita sportiva e personale del nipote. “Nel periodo in cui papà è stato ricoverato in ospedale a lungo, è stato nonno a farsi avanti e ad aiutare, insieme alla nonna. Questo ha fatto sì che nonno mi stesse molto vicino, e quindi era naturale che fosse lui ad accompagnarmi agli allenamenti. In un certo senso è diventato come un amico. È questo il rapporto che ho con lui, parliamo di tutto. È come qualsiasi altro amico. Lo trovo piuttosto fantastico.”
Il film, diretto dal fratello minore Ola Klæbo, mostra un ritratto intimo della famiglia e del prezzo umano dietro il successo. “Non è il letto di rose che la gente pensa. Ci sono molte spiegazioni su perché la nostra situazione non sia sempre stata semplice o perfetta” conclude il 29enne, che continua a prepararsi per le Olimpiadi con la consueta determinazione.

