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Biathlon – L’heat training conquista la Nazionale svedese: benefici, rischi e strategie del nuovo trend nella preparazione

Foto Credits: Dmytro Yevenko

L’heat training è recentemente diventato uno degli argomenti di grande attualità nel mondo del fondo e del biathlon: entrato stabilmente nei programmi delle discipline di resistenza, tra cui l’atletica, si tratta di una pratica che via via stanno adottando la maggior parte degli atleti di punta, nella speranza di poter avere un vantaggio concreto in vista delle Olimpiadi di Milano-Cortina del prossimo inverno.

L’obiettivo di questo tipo di lavoro “al caldo” è aumentare la temperatura corporea e sudare il più possibile, migliorando la capacità di assorbimento dell’ossigeno con effetti sui valori ematici simili a quelli dell’allenamento in quota, ma senza la necessità di recarsi ad altitudini elevate.

Una delle prime persone a raccontare di questi allenamenti è stata Ella Halvarsson, ma tutta la nazionale svedese di biathlon ha ormai adottato questa pratica. L‘Östersunds-Posten ha parlato con alcuni dei suoi campioni e i feedback sembrano essere positivi.

“È davvero speciale. In un pomeriggio sudo dai tre ai quattro litri, che è davvero tanto. Bisogna stare attenti a reintegrare ciò che si perde. Ha funzionato bene e ci si abitua anche. Ho ricevuto ottimi riscontri“ ha dichiarato Sebastian Samuelsson.

Anche Elvira Öberg ne ha tessuto le lodi, notando in un vantaggio non di poco conto in vista delle gare a cinque cerchi che si svolgeranno ai 1600 m sul livello del mare della Südtirol Arena di Anterselva: l’acclimatamento all’altitudine è diventato molto più veloce. “Sento che le mie prestazioni in alta quota sono migliorate da quando ho iniziato a farlo. L’acclimatamento, che prima mi richiedeva molto tempo, ora è più veloce, il che è molto interessante“.

Questi aspetti positivi però non devono ingannare: si tratta di un lavoro da svolgere con molta cautela. “Il sistema immunitario è indebolito per le ore successive alla sessione. Probabilmente non si dovrebbe andare a fare shopping nell’ora di punta subito dopo. È una sensazione particolare, ma la vedo in modo positivo, anche se non è certo la sessione più piacevole della settimana“ ha continuato la campionessa del Mondo nella Mass Start di Lenzerheide ”Ho raggiunto i 39 gradi, non è piacevole. È stata un’esperienza piuttosto particolare, fa molto caldo. Ovviamente è dura e durante alcune sessioni mi sono sentita male, ma non è poi così male.”

Pertanto, come conferma il tecnico bavarese della Nazionale svedese, Johannes Lukas, non è un lavoro “per principianti o dilettanti”, ma solo per quegli atleti che hanno raggiunto un livello molto avanzato nel loro sviluppo e inseguono ormai gli ultimi punti percentuali di prestazione.

“Non è un tipo di allenamento che si può semplicemente provare e sperimentare. È in quel momento che le cose possono andare male. Può accadere di spingere il proprio corpo oltre i limiti. Ci alleniamo vicino al limite della febbre e, si supera, possono esserci effetti negativi. Non basta indossare abiti caldi e buttarsi: serve un piano chiaro. Ci sono molte altre cose, in particolare la costanza nell’allenamento regolare, che consiglierei prima (a giovani e amatori, ndr).

Nessuno dei suoi atleti ha avuto un peggioramento della sua forma o delle sue prestazioni a causa dell’heat training, ma si cerca di non rischiare nulla: è un tipo di sessione che viene interrotta immediatamente se l’atleta si sente affaticato.

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