Tragica fine di Marcello Gionta, 59 anni, trentino della Val di Sole, scivolato in una scarpata mentre scendeva dal Rifugio Denza, nel gruppo della Presanella, dove domenica si era conclusa la “Scalaccia”, un vertical di km 4,800 con 1000 metri di dislivello con partenza da Vermiglio che lo aveva visto protagonista come sempre, da “patito” degli sport di fatica. Che davano un senso alla sua vita, e non solo per il gusto di partecipare in spirito decoubertiniano.
Un duro, in poche parole. Proprio per questo era considerato come un’istituzione nella vallata e portato come esempio ai tanti giovani che fanno un po’ di flanella dal Monte Giner di Massimino Benzi, il gruppo sportivo per cui correva con gli skiroll o lo sci. Per l’atletica del CSI era invece tesserato con l’U.S. Baitona, per le gare FIDAL con il Clarina di Trento.
Ci metteva l’anima nello sport, gli piaceva la lotta, non dava tregua agli avversari. Protagonista sempre nelle gare Master, in Coppa del Mondo, dove ha avuto modo di imporsi nella classifica di categoria nella staffetta di Sestola o al Sestriere o al campionato italiano di Montebelluna del 2015. Il classico “cagnaccio” che non molla mai, che ti sta sempre con il fiato sul collo o morde le caviglie se non lo fai passare quanto ti chiede pista.
Atleta polivalente e autodidatta: per lui sci di fondo, sci alpinismo, MTB, corsa su strada, in pista o in montagna costituivano il pane quotidiano. Non poteva vivere senza, doveva sentirsi sempre il movimento. Si allenava andando al lavoro di corsa, oppure con gli skiroll e in bicicletta. A Rubbio, dove per qualche anno il figlio Carlo ha organizzato il trittico in memoria di Fabio Crestani, l’artigiano vicentino che ha lanciato lo skiroll in Italia, lui partecipava da individuale impegnandosi nelle tre frazioni di corsa, ciclismo e skiroll. L’auto la considerava quasi un optional, che gli serviva solo per i lunghi spostamenti, ma anche come deposito dell’attrezzatura: vi teneva sempre gli sci di fondo o d’alpinismo, gli skiroll o la tuta da muratore di cui si serviva quando dava una mano al cognato imbianchino.
Una morte che non trova spiegazione: è infatti caduto dal sentiero, che conosceva bene, lo stesso sul quale, al mattino, si era sviluppata la gara tutta in salita e che per lui era abituale terreno di allenamento per la corsa in montagna. Lo hanno trovato solo quando, non essendosi presentato al 118 trasporto infermi di Pellizzano dove lavorava, sono iniziate le ricerche. Viveva infatti da “single, appoggiandosi, quando era il caso, ad una delle tre sorelle. L’ultimo a sentirlo un amico di Vermiglio, che aveva chiamato con il telefonino mentre era sulla strada del ritorno. La sua auto, ritrovata al parcheggio dove lasciata domenica prima della gara, ha fatto capire che era successo qualcosa nella discesa a valle. Da lì si è quindi risaliti verso il rifugio finché il suo corpo non è stato visto il fondo alla scarpata.
Lo Skiroll piange Marcello Gionta, un atleta polivalente
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