Olimpiadi | 02 febbraio 2024, 18:31

Doping - Dalla squalifica di Valieva all'ennesima provocazione di Stepanova che pubblica una foto con Putin. La triste storia di quando lo sport viene politicizzato.

Doping - Dalla squalifica di Valieva all'ennesima provocazione di Stepanova che pubblica una foto con Putin. La triste storia di quando lo sport viene politicizzato.

Nei giorni scorsi è arrivata la squalifica di quattro anni per Kamila Valieva, giovane pattinatrice russa che aveva fatto parlare molto di sé durante le Olimpiadi di Pechino. L'allora quindicenne, infatti, era risultata positiva a un controllo antidoping, il cui risultato, pur essendo risalente al 25 dicembre 2021, con un tempismo da serie televisiva, è arrivato proprio nel giorno in cui Valieva, insieme alla squadra russa, aveva vinto l'oro olimpico a squadre, tanto che la cerimonia di premiazione venne poi posticipata. Strano, ma come sempre squalifiche e retate arrivano sempre in occasione degli eventi con maggior seguito mediatico.

L'allora quindicenne, sottolineiamo sempre l'età, era risultata positiva alla trimetazidina, un farmaco usato per curare l'angina. Nella sua difesa, l'adolescente si era giustificata affermando di essere rimasta contaminata dalle posate che aveva condiviso con sui nonno, trattato con la stessa sostanza dopo aver ricevuto un cuore artificiale. Mentre erano in corso tutte le indagini, a Valieva venne permesso di partecipare alla gara individuale, nella quale, a causa di una pressione troppo grande per una ragazza di appena quindici anni, aveva avuto il più classico dei crolli emotivi, commettendo una serie di errori non all'altezza di un'atleta del suo talento, chiudendo quarta e in lacrime. Un momento umanamente drammatico.

Un tribunale antidoping russo aveva quindi assolto Valieva da ogni accusa, ma WADA e ISU si erano rivolte al TAS, Tribunale Arbitrale dello Sport, con sede a Losanna, che pochi giorni fa ha deciso dopo una causa molto lunga di squalificare l'atleta per quattro anni, a partire dal 25 dicembre 2021. «È una sentenza politica» ha subito tuonato il portavoce del presidente Putin, Dmitry Peskov, risvegliando nuovamente quel sentimento da "Guerra Fredda" di cui lo sport a livello olimpico non si è ancora liberato, quell'eterna sfida tra Occidente, anzi Stati Uniti e Unione Sovietica, che sembrava essersi concluso dopo la caduta del Muro di Berlino e due anni dopo del Regime Sovietico, ma che era invece solo in letargo, tornato prepotentemente in voga negli anni 2000, fino alle vergogne olimpiche di Sochi. Vittorie e medaglie da utilizzare come mezzo di propaganda, in Russia, ma anche negli Stati Uniti e in tutto l'Occidente, come dimostra anche quanto stiamo vedendo in Italia in questi giorni, a voler sfruttare la vittoria individuale di un atleta, a far la fila per posare in foto con lui, senza averne avuto alcun merito nella sua formazione, solo per far crescere il proprio consenso di mezzo decimo percentuale.

E nella propaganda, ancora una volta, è finita anche Veronika Stepanova, che seppur ancora fondista, sembra ormai voler quasi avviare la propria carriera politica, continuando la propria personalissima sfida contro l'occidente, dove allo stesso tempo sogna di tornare presto a gareggiare. La giovane russa, che di attacchi all'occidente ne ha mandati tanti in questi anni, non solo riferendosi alla discutibile sospensione dalle gare (e sottolineiamo la parole "discutibile"), ha deciso come sempre di provocare. Ecco che, arrivata la notizia della squalifica di Valieva, Stepanova ha pensato bene di pubblicare una sua foto insieme a Putin ed altri olimpionici russi, tra i quali Valieva stessa, attaccando l'occidente: «Sappiamo tutti dove nascono certe decisioni. Un altro motivo per riflettere: ma abbiamo bisogno di uno sport così "internazionale", da essere sponsorizzato e gestito dall'Occidente? Siamo ancora più forti e in una lotta leale lo dimostreremo più di una volta. Se c'è una lotta alla pari, sul ghiaccio o sugli sci, non nei tribunali».

Un'atleta è stata trovata positiva, la sua giustificazione non è stata ritenuta sufficiente per giudicarla innocente e come da regolamento è stata squalificata per quattro anni. Cosa c'è di politico in questo? Nulla. Qualcuno ha parlato di sentimento anti norvegese in occasione della squalifica di Johaug? No. Questa è la regola, non è stata rispettata e non è stata creduta la giustificazione. Processo perso, quindi squalifica. Anzi, forse gli unici a protestare in questa storia sono i canadesi, clamorosamente scippati di un bronzo che a questo punto avrebbe dovuto spettargli di diritto.

Stepanova ha ragione su un punto, l'augurio è che si possa un giorno avere una lotta alla pari nello sport. Libero però dal doping, aggiungiamo noi, oltre che dalla politica, che, come dimostrato in occasione proprio di Sochi 2014, e come si è visto nel corso della storia olimpica, è spesso strettamente collegata al doping.
Poi si, è giusto discutere sull'eventuale partecipazione o meno degli atleti russi, ragionare su un ritorno e in che maniera, cercando ovviamente di renderlo il più sicuro possibile, prima di tutto per gli atleti stessi. Certamente, però, la stessa Stepanova dovrebbe iniziare a collaborare in questo senso, cercando di essere meno eroina nazionalista a parole lanciando mille provocazioni, smettendola di essere la prima portatrice di un sentimento anti occidentale. Per prepararsi invece a tornare e vincere, da fondista di grandissimo talento qual è, farlo per sé stessa, per la sua nazione, ma non per dimostrare la superiorità di una nazione su un'altra, quell'eterno senso di rivalsa, figlio anche di un vittimismo ingiustificato. Torniamo a circoscrivere il tutto allo sport, che deve essere portatore di messaggi positivi. Come quello che la stessa Stepanova ha mandato oggi pubblicando una foto di astronauti russi e statunitensi assieme, segno che collaborando tra nazioni si possono fare grandi cose. Ma per farlo, però, bisogna liberarsi di quel pregiudizio anti occidentale e anti russo presente da ambo le parti, a fare meno il gioco di certi personaggi politici che lo alimentano per i propri interessi, ed essere anche meno vittimisti, iniziando ad ammettere e proprie colpe.

E intanto, però, tornando sulla vicenda da cui siamo partiti, in tutta questa situazione la vittima è sempre stata soltanto una: la Kamila Valieva quindicenne di Pechino, che suo malgrado si era trovata a vivere una situazione molto più grande di lei, probabilmente tradita proprio dalle persone di cui si fidava e forse ancora si fida. L'unica da non condannare, moralmente parlando, è proprio lei.

Giorgio Capodaglio

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