Biathlon | 25 luglio 2016, 07:38

Lukas Hofer svela il segreto del biathlon italiano: "Siamo una bella squadra e stiamo bene insieme"

Il biatleta azzurro ha ricordato anche la sua bella vittoria ad Anterselva nel 2014: "Non riesco a descrivere le emozioni vissute quel giorno, perché Anterselva è la mia seconda casa ed erano presenti amici e parenti"

Lukas Hofer, foto dal suo sito ufficiale (www.lukas-hofer.com)

Lukas Hofer, foto dal suo sito ufficiale (www.lukas-hofer.com)

A volte si ha un talento nascosto che viene fuori quasi casualmente, perché sei un fondista e non hai mai sparato in vita tua e d’improvviso ti mettono una carabina al braccio e ti scopri bravo, ma soprattutto capisci che è ciò che vuoi fare per tutta la vita. È quanto accaduto a Lukas Hofer, che dopo un inizio da fondista è passato al biathlon, diventando uno degli uomini di punta di quella che è la nazionale italiana più forte di sempre. L’abbiamo incontrato per farci raccontare la sua storia e conoscere i suoi obiettivi futuri.  

Buongiorno Lukas Hofer, lei ha iniziato come fondista: come mai è passato al biathlon?
«Fino al 2000/2001 ero un fondista, avevo seguito quello che faceva mia sorella Karin, che poi cambiò disciplina e passò al biathlon. Così la seguii ad Anterselva per allenarmi su quelle piste e un giorno mi proposero di provare a sparare e ovviamente non dissi di no. Al primo sparo mi innamorai di questo e cominciò questa nuova avventura».  

Com’è stato l’impatto con il nuovo sport? Ha avuto problemi a battere i suoi avversari, che avevano maggiore esperienza?
«A 11-12 anni era l’età giusta per iniziare, anche perché all’inizio si spara solo ad aria compressa. Ho ottenuto subito ottimi risultati, tanto che al terzo anno avevo già vinto il titolo italiano. Probabilmente ero avvantaggiato dalla mia preparazione sullo sci di fondo, anche se rispetto agli altri ho dovuto lavorare tanto sul tiro per recuperare gli anni che avevo perso. Continuo però a pensare di aver iniziato a fare biathlon al momento giusto».  

Nella categoria Juniores a 19 anni ha vinto due ori ai Mondiali di Canmore in Canada: li ha capito che avrebbe fatto una bella carriera?
«In quel momento ho capito di avere qualcosa in più, perché un titolo mondiale juniores è un grande salto di qualità. Il passo successivo era la Coppa del Mondo e in quel momento ho capito di poter fare bene anche lì, consapevole però di dovermi allenare ancora molto perché senza allenamento non sarei andato da nessuna parte. Negli anni precedenti sono arrivato spesso vicino a conquistare delle medaglie, senza mai riuscirci. Era il mio obiettivo e alla fine ce l’ho fatta. Per me è stato un momento indimenticabile».  

Poco prima del trionfo Mondiale ha fatto anche il suo esordio in Coppa del Mondo; qual è stato il suo impatto con il “piano superiore”?
«Si, la mia prima gara in Coppa del Mondo l'ho disputata prima dei Mondiali Juniores di Canmore. Quella stagione ho fatto il corso dei Carabinieri a Roma nel mese di novembre e questo sulla carta avrebbe potuto rendermi difficile tutta la preparazione, ma alla fine non mi ha dato fastidio, perché sono riuscito a svolgere tutti gli allenamenti. La mia prima gara in Coppa del Mondo l'ho disputata ad Oberhof, dove mi ricordo che quando lo speaker mi ha nominato, ho sentito il rumore delle cinquantamila persone presenti e per me è stato un momento da pelle d’oca. Non è stato facile per me gareggiare in quell’ambiente, davanti a tanta gente».  

Alla sua terza stagione ha subito conquistato un fantastico bronzo ai Mondiali di Chanty-Mansijsk.
«Nella mia terza stagione di coppa del mondo ho ottenuto degli ottimi risultati durante tutto il corso dell’anno agonistico, ma la ciliegina sulla torta è stato il bronzo in Russia, perché non me l’aspettavo, anche se nel corso di tutta la stagione avevo lottato per il podio. Riuscire a salirci proprio lì, conquistando una medaglia è stata la cosa migliore che potessi fare».  

Nella stagione successiva, proprio a Oberhof dove ha esordito, è arrivata la prima vittoria in Coppa del Mondo nella staffetta, un’impresa che all’Italia non riusciva da dodici anni.
«Si, era un bel po’ di tempo che l'Italia non vinceva in staffetta. Quella di Oberhof fu per noi una gara speciale, perché di solito da quelle parti si trova il ghiaccio tritato e poca neve. Invece in quell’occasione c’erano vento e neve. Riuscimmo a disputare quattro frazioni perfette e ottenere quello splendido risultato».  

Un altro bellissimo risultato per lei è stato il bronzo olimpico di Soci, questa volta nella staffetta mista.
«Per me era la seconda Olimpiade, perché anche se ero ancora giovanissimo mi portarono a Vancouver per fare esperienza. Questo mi ha aiutato molto nelle successive Olimpiadi di Soci, perché avevo già capito com’erano i Giochi. Nel 2014 ho disputato una bella stagione ed era un sogno per me vincere una medaglia. Come squadra la sfiorammo più volte sia noi ragazzi sia le ragazze, in un paio di occasioni nelle gare individuali ci sono sfuggite medaglie all’ultimo colpo. Quel giorno ci siamo rifatti, siamo stati perfetti ed è stata ancora più bella quella medaglia, perché essendo una staffetta mista ha mostrato l’ottimo lavoro collettivo della squadra di biathlon italiana».  

Prima delle Olimpiadi di Soci ha conquistato il suo unico successo individuale in Coppa del Mondo, proprio ad Anterselva in Italia.
«Anterselva è per me una seconda casa, perché mi alleno lì tutto l’anno. Non riesco a descrivere le emozioni di quel giorno, perché ricordo ogni metro di quella gara: dopo il poligono finale sapevo quanto vantaggio avevo e negli ultimi metri avevo capito che stavo per vincere davanti agli amici e la mia famiglia. Bellissimo, perché certe emozioni non le avrei potute vivere se avessi vinto da un’altra parte, perché la gara di casa è qualcosa di speciale. Sono stato fortunato perché quel giorno c’erano tutti, amici e parenti, persone che non sarebbero potute venire in altri posti».  

Passiamo all’ultima stagione: è deluso?
«Per me è stata una stagione molto difficile, perché non sono mai riuscito a trovare il ritmo giusto a causa di numerose malattie, tante influenze. Ho avuto problemi con il mio sistema immunitario e ora ho lavorato tanto per recuperare e oggi mi sento molto meglio. Vediamo come andranno le cose nella prossima stagione».  

Insomma il suo augurio è di stare bene fisicamente.
«Si, voglio solo stare in salute, perché sono convinto che se potrò allenarmi con costanza riuscirò a tornare ai livelli di due anni fa».  

Mai come oggi l’Italia ha avuto tanti atleti così competitivi nel biathlon. Pensa che questa squadra possa far crescere il biathlon nel nostro paese?
«È importante perché sono convinto che questi risultati faranno crescere il movimento del biathlon in Italia e i giovani potranno prenderci come esempio, magari trovando una motivazione per impegnarsi ancora di più negli allenamenti. Noi possiamo migliorare ancora, perché siamo una squadra veramente giovane e stiamo bene insieme, ci divertiamo durante e dopo gli allenamenti. Questo è un grande vantaggio, perché così per noi non è un peso stare in giro lontano dalla famiglia per tutto l’anno, come sarebbe se ci fosse un clima diverso. Abbiamo sempre qualcosa da fare, ci aiutiamo l’uno con l’altro».  

Un’ultima domanda: c’è qualcuno che vuole ringraziare per essere arrivato fino qui?
«Sicuramente oltre a tutti gli allenatori, voglio ringraziare soprattutto la mia famiglia, perché senza di loro non sarei arrivato fino a qui, dal momento che in passato si sono fatti tanti chilometri per accompagnarmi alle gare».

 

Giorgio Capodaglio

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